Parte oggi 2021 battute per un anno di teatro: l’approdo, l’antologia del contest letterario di Teatri di Bari dedicato agli under 35. A turno pubblicheremo i racconti arrivati per ‘2021 battute per un anno di teatro’, che per l’XI edizione si avvale dell’incipit della giornalista e scrittrice Concita De Gregorio. Scopriamo ora il testo del secondo classificato, Salvatore Canto.
Incipit di Concita De Gregorio
E la nave va
La casa va venduta, le aveva detto al telefono il fratello. La linea era come sempre disturbata, riusciva a sentire una parola ogni dieci. Mi puoi chiamare per favore quando torni a terra, cosi riusciamo a parlare? E’ una cosa importante non ti pare? Aveva risposto lei. Torno a terra fra sei mesi, Sara. Io in nave ci vivo, ti ricordi? Questa frase per miracolo era arrivata intera, come un colpo di fucile. La casa dei nostri genitori va venduta, io a terra non torno. Fine della comunicazione. La nave, lei immaginava, doveva essere come quella del grande quadro appeso sul divano del loro vecchio soggiorno: lo scafo rosso. Il mare in tempesta. Quando erano bambini e il padre tornava dai suoi viaggi sempre, sempre, la prima cosa che diceva loro era: copritevi, ragazzi, mettetevi la sciarpa. Andiamo sul molo a prendere il vento. Non il sole, il vento.
Testo di Salvatore Canto (2° classificato)
La sua sciarpa panna e verde Sara la tirava via dal vecchio gancio della porta e se la girava al collo che già era fuori a tremare. Di freddo, di trepidazione. Sarebbe stato come l’ultima volta, e quella prima, e quella prima ancora. Colpi di vento senza colpi di scena. Momenti fotocopia. Perfetti, dunque. Niente di più tiepido che il conforto della prevedibilità, per Sara. Sapeva cosa fare per non lasciare che il vento spostasse una singola virgola del copione di sempre. Sarebbe rimasta in silenzio nel tragitto fino al molo, e anche dopo, acquattata sul terzultimo pilone a destra, fino a che il padre non avesse finito di tramandare l’ennesimo racconto di mare al suo primogenito. La sciarpa non le sarebbe servita a niente, si sarebbe raffreddata comunque. Dopo cena e prima di mettersi a letto, avrebbe cominciato a starnutire: ottimo. Sotto la coperta a fiori stinti, l’aroma di fragola rancida del solito intruglio caldo amaro lo avrebbe annunciato alla porta della sua stanza: sarebbe stato quello il suo momento. Il letto di legno intagliato a mano sarebbe stato il suo molo, le esalazioni dell’intruglio il suo vento, le carezze meccaniche del padre il suo racconto. In versi. Mille e tutti uguali, tutti muti. Strano modo di accarezzare, quello di suo padre, eppure l’unico che tollerava. Piegava a cucchiaio la mano nodosa e lasciava che le nocche le scorressero dolcemente tra i capelli. Chiglie ruvide tra onde bionde: anche il suo sarebbe stato un racconto di mare.
Reggeva ancora la cornetta tra le dita.
Tu… tu… Rintocchi mononota.
Come in uno di quei vecchi proiettori per diapositive, ad ogni rintocco calava l’accusa, e cambiava il quadro.
Tu…lo stai viziando.
Un padre si prepara all’ultima partenza nella coperta a fiori stinti su un letto intagliato dà una mano alla figlia nel fruscio di nocche lisce tra capelli ragnatele grigie.
Tu… non capisci.
Un fratello su una nave la chiglia rossa nella perenne tempesta delle aspettative cerca in mare un altro uomo d’amare ma tira su solo donne mezze annegate.
Tu… ci stai rovinando.
Su un letto di legno una vecchia valigia da marinaio inghiotte una sciarpa panna verde una coperta a fiori stinti mentre Sara in soggiorno strappa la cornice dal grande quadro se la porta via come se stessa bella limitata e limitante. La cornice va.
Senza cornice la tempesta inonda il vecchio soggiorno, la chiglia rossa solca il muro e la nave va.
Sul divano.
Salvatore racconta il contest
Dopo aver letto del Contest, su Instagram, sono corso su Word a controllare a quanto effettivamente corrispondessero 2021 battute. Nella mezza pagina che mi si parava davanti vedevo una cruda ma vera metafora dell’Arte: assolutamente libera, entro certi limiti.
Poche ore dopo ero già lì che scrivevo. Il fatto che il Contest fosse organizzato dai Teatri di Bari l’ho interpretato come un segno: da anni il Teatro è il mio mondo, il Palco la mia isola, la Drammaturgia il mio comodo chalet. E poi, che ci vuole a scrivere mezza pagina?!
Due giorni. Abbondanti.
Delineare un arco narrativo in così poco spazio sembrava difficile come sfondare una porta blindata con soli dieci centimetri di rincorsa…
Ma deve essere andata bene, se qualcuno ha potuto persino dare una sbirciata oltre la soglia, leggendo: pare ci sia una stanzetta di 2021 battute, oltre quella porta. Un po’ angusta, ma ben arredata. Per lo meno, così hanno detto.
Volete dare un’occhiata? Prego.
Chi è Salvatore Canto
Mi chiamo Salvo Canto, ho 32 anni e sono un drammaturgo, regista, attore, cantante, musicista, educatore siracusano. Già, è sempre stato il mio difetto più grande: saper fare tante cose.
“Unni ti metti, soni” mi ripeteva orgogliosa Nonna Mena.
Alla lunga, però, le tante strade che mi si paravano davanti si sono ingarbugliate in un labirinto chiaramente confuso: stavo per diventare un ingegnere informatico, per dirne una.
Per fortuna, otto anni fa, il Teatro venne a cercarmi. E con Teatro intendo un certo Sebastiano Rabbito, direttore di una piccola grande bottega teatrale, la mia casa per sei indimenticabili anni.
Ho imparato a riversare nel Teatro tutto ciò che sono, tutto ciò che so, tutto ciò che voglio.
Ora, col Teatro al mio fianco, sento addirittura di non saper fare abbastanza. Ora, lo sprone è continuo, il galoppo obbligato, la strada lunga. Ma è più leggera in “compagnia”: con Sara Cilea, attrice laureata in Drama alla University of East Anglia, abbiamo fondato Exedra Arts con l’obiettivo di portare la Storia a Teatro, il Teatro fuori dai teatri e la cultura a chiunque.
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