“Scrive Arthur Conan Doyle, il padre di «Sherlock Holmes», che «il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare». L’idea che guida le parole e le azioni di questo spettacolo è la volontà assoluta, liberissima, giocosa, di rovesciare quella verità e osservare con divertita ostinazione il mondo. Sherlock Holmes, il suo celebre metodo fondato sul binomio osservazione e deduzione, si reincarna sulla scena in un anomalo terzetto di investigatori contemporanei, animati da una inesauribile voglia di andare oltre il volto immediato e ingannevole della realtà, di analizzare i dettagli e ipotizzare possibili soluzioni. Nella sua sorprendente somiglianza con i meccanismi profondi della curiosità infantile, l’applicazione rigorosa e nello stesso tempo umoristica del metodo deduttivo è lo strumento di un viaggio di scoperta e investigazione di quel pezzo di mondo, di quel vero e proprio microcosmo, che è il teatro. Un viaggio che diventa esplorazione della relazione ambigua tra realtà e finzione, verità e apparenza, artificio tecnico e autenticità di emozione. Quella che si viene compiendo sulla scena, “teatro del crimine” in una inedita accezione, è dunque una vera e propria anatomia in presa diretta, uno sguardo telescopico che si irradia sull’intero spettro del visibile e del sensibile. L’ analisi clinica e interattiva di un campione del pubblico (lo spettatore non è forse parte integrante dell’accadimento teatrale?), convive allora con lo smontaggio e il rimontaggio della creazione artistica, innescando una riflessione sull’arte performativa e la sua relazione con la vita. La pluralità delle ipotesi ricostruttive dei movimenti coreografici di uno spettacolo, a partire dagli indizi lasciati sulla “scena del delitto”, si traduce in un vertiginoso atlante concentrato della danza, dal minimal alla contact improvisation, dalla metal al musical, perché il linguaggio del corpo ha estensione infinita, come infinito e aperto è il catalogo delle ipotesi sul mondo, se si parte dalla sua osservazione analitica. Tecnica e immaginazione si sorreggono a vicenda. Il teatro è metafora della immaginazione umana e della vita stessa, universo espressivo totale e complesso, di cui non si tralascia nulla, neanche il versante spaziale-costruttivo, così ricco di aspetti carichi di potenzialità, quando si possieda un occhio ricco di acume investigativo. Così, l’occhio di una telecamera, moderno erede della lente di Sherlock Holmes, nella sua assoluta libertà di indagine scruta, analizza, rielabora tutti i recessi dello spazio-mondo: persone e oggetti, spettatori e proiettori, costumi e note di regia, e non si preoccupa di superare le pareti del teatro per puntare sulla vita là fuori che continua a scorrere, o di farsi strada dietro le quinte. Perché “le cose ovvie di cui è pieno il mondo”, se osservate, guardate, scrutate, possono dirci qualcosa di nuovo, rivelare un volto segreto.”
Concept: Francesca Pennini
Regia e drammaturgia: Angelo Pedroni , Francesca Pennini
Coreografie e partiture fisiche: Francesca Pennini in collaborazione con gli interpreti
In scena: Simone Arganini, Daniele Bonaiuti, Roberto De Sarno
Assistenza organizzativa: Carmine Parise
Costumi: Titta Caggiati
Luci e tecnica: Emiliano Curà
Realizzazione scene: Paolo Romanini
Produzione: Teatro delle Briciole
Piece per spazi teatrali e un pubblico giovane: 8-12 anni
Durata: 75’
Anno: 2015
CollettivO CineticO nasce nel 2007 ed è diretta della coreografa Francesca Pennini in collaborazione con oltre 50 artisti provenienti da discipline diverse. La ricerca del collettivo indaga la natura dell’evento performativo e ne discute i meccanismi con formati al contempo ludici e rigorosi che ibridano coreografia, teatro e arti visive. CollettivO CineticO è compagnia residente stabile presso il Teatro Comunale di Ferrara e all’oggi ha prodotto 34 creazioni ricevendo numerosi premi tra cui: Jurislav Korenić Award Best Young Theatre Director; Premio Rete Critica 2014 come miglior artista 2014; Premio Danza & Danza 2015 a miglior coreografa e interprete, nomination premi UBU miglior performer under 35; Premio Hystrio Iceberg 2016; Premio MESS al BE Festival di Birmingham 2016.nasce nel 2007 ed é diretta della coreografa Francesca Pennini in collaborazione con oltre 50 artisti provenienti da discipline diverse.
La ricerca del collettivo indaga la natura dell’evento performativo e ne discute i meccanismi con formati al contempo ludici e rigorosi che ibridano coreografia, teatro e arti visive. CollettivO CineticO è compagnia residente stabile presso il Teatro Comunale di Ferrara e all’oggi ha prodotto 34 creazioni ricevendo numerosi premi tra cui: Jurislav Korenić Award Best Young Theatre Director; Premio Rete Critica 2014 come miglior artista 2014; Premio Danza & Danza 2015 a miglior coreografa e interprete, nomination premi UBU miglior performer under 35; Premio Hystrio Iceberg 2016; Premio MESS al BE Festival di Birmingham 2016.
http://www.collettivocinetico.it/
[…] Secondo lo spirito del personaggio di Conan Doyle si tratta di una divertente, ammiccante investigazione deduttiva. Gli addetti della compagnia di pulizie Watson Srl devono rimuovere le tracce dello spettacolo della sera precedente, e per farlo devono prima ricostruirle in modo “scientifico”. Il pretesto narrativo conduce a un viaggio in diversi stili di danza e possibilità coreografiche, per mostrare come solo lo scatto nell’immaginazione possa definire i modi che l’arte ha per trasfigurare la realtà. I giovani spettatori sono coinvolti in un gioco che chiede continuamente di guardare oltre le apparenze, per estrarre inedite visioni dal flusso della vita quotidiana.”
Massimo Marino – Left – 16/04/2015
Nel 1880 Arthur Ignatius Conan Doyle vende a The London Society la storia “Il racconto dell’americano”, su una mostruosa pianta originaria del Madagascar che si ciba di carne umana. Un anno dopo ottiene prima il baccellierato in Medicina, quindi il Master in Chirurgia: inizia così a lavorare presso l’ospedale di Edimburgo, dove conosce il dottor Joseph Bell, di cui per un breve periodo, prima di laurearsi, diviene assistente. Il brillante e freddo dottor Bell, con il suo metodo scientifico e le sue abilità deduttive, ispirerà a Doyle il fortunato personaggio di Sherlock Holmes, che ha così, almeno nelle origini, un legame con il medical thriller. Dopo gli studi Conan Doyle si imbarca su una baleniera come medico di bordo, trascorrendo molti mesi nell’Oceano Atlantico e in Africa. Torna in Inghilterra e apre con scarso successo uno studio medico nel Southsea, sobborgo di Portsmouth. Proprio in questo periodo Doyle comincia a scrivere le avventure di Holmes: in breve le storie di questo personaggio iniziano ad riscontrare discreto successo presso il pubblico britannico.
Il primo romanzo del noto detective è “Uno studio in rosso”, del 1887, pubblicato sullo Strand Magazine: nel romanzo il narratore è il buon Dottor Watson – che in un certo senso rappresenta l’autore stesso – presenta Holmes e la sottile scienza della deduzione. A questa prima opera fa seguito “Il segno dei quattro” (1890), opera che vale a Arthur Conan Doyle e al suo Holmes enormi successi, tanto da non avere eguali nella storia della letteratura poliziesca. Nonostante l’enorme successo Doyle non legherà mai abbastanza con il suo personaggio più popolare, che odiava perché divenuto più famoso di lui. Era di fatto più attirato da altri generi letterari, come l’avventura o il fantastico, oppure come opere di ricerca storica: in questo campo realizza romanzi storici come “La Compagnia Bianca” (1891), “Le avventure del brigadiere Gérard” (raccolta di sedici racconti del 1896) e “The Great Boer War” (1900, scritto mentre era corrispondente della guerra anglo-boera in Sudafrica); quest’ultimo lavoro gli vale nel 1902 il titolo di Sir. Anche durante la Grande Guerra ripete l’esperienza di corrispondente di guerra, senza però tralasciare le sua attività di romanziere, saggista e giornalista.
In qualità di giornalista, durante le Olimpiadi di Londra del 1908, Sir Arthur Conan Doyle, scrive in un articolo per il Daily Mail – cha avrà grande risalto – in cui esalta l’atleta italiano Dorando Pietri (vincitore della maratona olimpica, ma squalificato) paragonandolo a un antico romano. Conan Doyle si fa inoltre promotore di una raccolta di fondi per lo sfortunato italiano. Altri suoi lavori che affrontano i generi di avventura, fantasy, soprannaturale e terrore sono “The Last Of The Legions and other tales of long ago”, “Tales of Pirates”, “My Friend The Murderer and other mysteries”, “Lot 249” (La mummia), “Il mondo perduto”. Anche se l’elemento fantastico non è mai completamente assente neppure dalla sua produzione realistica – come ad esempio nel romanzo “Il mastino dei Baskerville” (1902) o nel racconto “Il vampiro del Sussex” (1927), entrambi del ciclo di Sherlock Holmes – i romanzi annoverabili nel genere fantasy che Doyle ha scritto sono cinque, assieme a circa quaranta racconti strettamente fantastici, la maggior parte dei quali dell’orrore e del soprannaturale.
Con la sua vastissima produzione letteraria, Doyle, assieme a Edgar Allan Poe è considerato il fondatore di ben due generi letterari: il giallo e il fantastico. In particolare Doyle è il padre e maestro assoluto di quel sottogenere definito “giallo deduttivo”, reso famoso grazie a Sherlock Holmes, suo personaggio di maggior successo, che però ha costituito solo una frazione della sua enorme produzione, che ha spaziato dall’avventura alla fantascienza, dal soprannaturale ai temi storici. Parlando del mito di Sherlock Holmes, è da notare che la celeberrima frase “Elementare, Watson!” che Holmes pronuncerebbe indirizzata all’assistente, è un’invenzione dei posteri. Il genere fantascientifico è affrontato principalmente dalla serie del professor Challenger (1912-1929), personaggio che Doyle modella sulla figura del professor Ernest Rutherford, eccentrico e irascibile padre dell’atomo e della radioattività. Tra questi il più celebre è “Il mondo perduto”, un romanzo del 1912 che racconta di una spedizione guidata da Challenger su di un altopiano del Sud America popolato da animali preistorici sopravvissuti all’estinzione. La storia avrà notevole successo nel mondo del cinema, a partire dall’epoca del muto nel 1925 con il primo film, al quale seguiranno altre cinque pellicole (comprendendo due remake). L’argomento a cui lo scrittore scozzese dedica gli ultimi anni della sua vita è lo spiritismo: nel 1926 pubblica il saggio “Storia dello Spiritismo (The History of Spiritualism)”, realizzando articoli e conferenze grazie ai contatti con la Golden Dawn. A causa dei controversi contenuti che lo studio del tema porta con sé, questa attività non darà a Doyle i riconoscimenti che in qualità di studioso si attendeva. Subirà peraltro attacchi da parte della Chiesa cattolica. Il suo ultimo lavoro pubblicato è “The Edge of Unknown”, dove l’autore spiega le sue esperienze psichiche, ormai divenute sua unica fonte di interesse. Mentre si trova nella sua casa di campagna a Windlesham, Crowborough, Arthur Conan Doyle viene colto da improvviso attacco cardiaco: muore il 7 luglio 1930, all’età di 71 anni. Sulla tomba, che si trova a Minstead nel New Forest, Hampshire, l’epitaffio recita: “Steel True | Blade Straight | Arthur Conan Doyle | Knight | Patriot, Physician & Man of Letters”.
(Fonte: http://biografieonline.it/)
Watson era rimasto a fissare intensamente il suo amico sin da quando si era seduto al tavolo della colazione. Per caso Holmes alzò lo sguardo e incrociò il suo sguardo.
– Ebbene, Watson, a cosa state pensando? – domandò.
– A voi.
– A me? –
Sì, Holmes, stavo pensando quanto sia superficiale la vostra abilità, e quanto sia incredibile che la gente continui a prestarvi interesse.
– Sono completamente d’accordo con voi – disse Holmes.
– A dire il vero, ricordo di aver fatto un’osservazione simile.
– È molto Semplice – disse Watson seriamente – capire i vostri metodi.
– Senza dubbio – rispose Holmes con un sorriso. – Forse vorrete darmi voi stesso un esempio del mio modo di ragionare.
– Con piacere – disse Watson. – Sono in grado di dire che eravate preoccupato stamattina quando vi siete alzato.
– Eccellente! – disse Holmes. – E come fate a saperlo?
– Perché in genere siete un uomo molto ordinato eppure vi siete scordato di rasarvi.
– Accidenti! Che arguzia! – disse Holmes. – Non credevo davvero, Watson, che foste un discepolo cosi intelligente. Per caso il vostro occhio di lince ha notato qualcos’altro?
– Sì, Holmes. Avete un cliente di nome Barlow, e non siete riuscito a concludere con successo il suo caso.
– Notevole Watson, e come fate a saperlo?
– Ho visto il suo nome scritto sulla busta. Quando l’avete aperta avete emesso un lamento e ve la siete messa in tasca con un’espressione corrucciata. – Ammirevole! Siete davvero un buon osservatore. Nessun altro punto?
– Temo che vi siate dato alla speculazione finanziaria.
– E come fate a dirlo, Watson?
– Avete aperto il giornale, siete andato alla pagina finanziaria, e vi siete lasciato scappare un’esclamazione di interessamento.
– Bene, Watson, sono deduzioni davvero argute. Nient’altro?
– Sì, Holmes, vi siete messo la giacca nera, invece della vestaglia, il che prova che siete in attesa di una visita importante entro breve.
– Nient’altro?
– Credo che sarei in grado di trovare altri punti, Holmes, ma vi cito solo questi pochi, per dimostrarvi che al mondo ci sono altre persone intelligenti quanto voi.
– Ed alcune che non lo sono – disse Holmes.
– Ammetto che siano poche, ma temo, mio caro Watson, che debba annoverarvi fra questi ultimi.
– Cosa volete dire, Holmes?
– Ebbene, mio caro amico, ho paura che le vostre deduzioni non siano così felici come avete creduto. – Intendete dire che mi sono sbagliato.
– Un pochettino, temo. Prendiamo i punti nell’ordine: non mi sono rasato perché ho portato a far affilare il rasoio. Mi sono messo la giacca perché, per mia sfortuna, ho un appuntamento mattutino col mio dentista. Il suo nome è Barlow, e la lettera era per confermare l’appuntamento. La pagina del cricket è accanto a quella finanziaria, e ho aperto il giornale a quella pagina per vedere se il Surrey teneva contro il Kent. Ma continuate, Watson! Il trucco è molto semplice e senza dubbio prima o poi lo capirete.
(Arthur Conan Doyle – Come Watson imparò il metodo, 1924)
IL SIGNOR SIGMA
Supponiamo che il signor Sigma, durante un soggiorno a Parigi, cominci ad avvertire dei disturbi alla “pancia”. Ho usato un termine generico perché il signor Sigma ha ancora una sensazione confusa. Ora fa mente locale e cerca di definire il disturbo: bruciori di stomaco? spasimi? dolori viscerali? Egli cerca di dare un nome a stimoli imprecisi: dando loro un nome li culturalizza, cioè riassume quello che era un fenomeno naturale sotto precise rubriche “codificate”, cerca quindi di dare a una sua esperienza personale una qualifica che la renda simile ad altre esperienze già nominate nei libri di medicina o negli articoli di giornale. Ora ha trovato la parola che gli sembra giusta: questa parola sta per il disturbo che egli avverte. Visto che intende comunicare i suoi disturbi a un medico, egli sa che potrà usare la parola (che il medico è in grado di capire) in luogo del disturbo (che il medico non avverte e forse non ha mai avvertito in vita sua). Chiunque sarebbe disposto a dire che questa parola, che il signor Sigma ha individuato, sia un segno. Ma il nostro problema è più complesso. Il signor Sigma decide di chiedere un appuntamento a un dottore. Consulta la guida telefonica di Parigi: segni grafici precisi gli dicono chi sia medico e come raggiungerlo. Esce di casa, cerca con gli occhi un segnale particolare che ben conosce: entra in un bar. Se fosse un bar italiano cercherebbe di individuare un angolino immediatamente vicino alla cassa dove dovrebbe esserci un telefono, di colore metallico. Siccome sa di essere in un bar francese, ha a propria disposizione altre regole interpretative dell’ambiente: cerca l’imboccatura di una scala che scenda nello scantinato. Lì, egli sa, in ogni bar parigino che si rispetti, ci sono le toelette e i telefoni. L’ambiente gli si presenta quindi come un sistema di segni orientativi che gli dicono dove potrà parlare. Sigma scende e si trova di fronte a tre cabine piuttosto anguste. Un altro sistema di regole gli dice come introdurre uno dei gettoni che ha in tasca (che sono diversi, e non tutti sono adatti a quel tipo di telefono: deve quindi leggere il gettone x come il gettone adatto al telefono di tipo y) e finalmente un segnale sonoro gli dice se la linea è libera: questo segnale è diverso da quello che si ode in Italia, e quindi egli deve possedere un’altra regola per “decodificarlo”: anche quel rumore (quel bourdonnement, come lo chiamano i francesi) sta per l’equivalente verbale “via libera”. Ora egli ha di fronte il disco con le lettere dell’alfabeto e i numeri: egli sa che il medico che cerca corrisponde a DAN 0019, questa sequenza di lettere e numeri corrisponde al nome del medico, ovvero significa “casa tal dei tali”. Ma introdurre il dito nei fori del disco, e farli girare in corrispondenza a numeri e lettere volute ha ancora un altro significato: vuol dire che il dottore sarà avvertito del fatto che Sigma lo chiama. Sono due ordini di segni diversi, tanto è vero che posso annotare un numero di telefono, sapere a chi corrisponde e non chiamare mai; e posso fare un numero a caso, senza sapere a chi corrisponde, e sapere che facendolo chiamo qualcuno. Questo numero poi è regolato da un codice molto sottile: le lettere per esempio si riferiscono a un quartiere particolare della città, ma ogni lettera a sua volta significa un numero, e se chiamassi Parigi in diretta da Milano dovrei sostituire DAN con i numeri corrispondenti, perché il mio telefono italiano ubbidisce a un altro codice. In ogni caso Sigma fa il numero: un nuovo suono gli dice che il numero, è libero. E finalmente ode una voce: questa voce parla in francese, che non è la lingua di Sigma. Sigma, per chiedere l’appuntamento (e anche dopo, quando spiegherà al medico quello che si sente) deve passare da un codice all’altro, e tradurre, in francese quello che ha pensato in italiano. Ora il medico gli ha dato un appuntamento e un indirizzo. L’indirizzo è un segno che rinvia a una posizione precisa nella città, a un piano preciso in un edificio, a una porta precisa di questo piano; l’appuntamento si regge sulla possibilità, da parte di entrambi, di far riferimento a un sistema di segni di uso universale, che è l’orologio. Ci sono poi diverse operazioni che Sigma deve compiere per riconoscere un taxi come tale, i segni che deve comunicare al tassista; c’è il modo in cui un tassista interpreta i segnali stradali, sensi vietati, semafori, svolte a sinistra o a destra, la comparazione che deve attuare tra indirizzo ricevuto verbalmente e indirizzo scritto su una targa stradale…; e poi ci sono le operazioni che deve compiere Sigma per riconoscere l’ascensore nel palazzo, identificare il bottone corrispondente al piano, premerlo per ottenere il trasferimento verticale, e infine il riconoscimento dell’appartamento del medico in base alla targa sulla porta. Sigma deve anche riconoscere, tra due pulsanti posti vicino alla porta, quello che corrisponde al campanello e quello che corrisponde alla luce delle scale, essi possono essere riconoscibili in base alla forma diversa, alla posizione più o meno ravvicinata alla porta, oppure in, base a un disegno schematico che portano inciso, sul tasto, campanella in un caso, lampadina nell’altro… Insomma, Sigma deve conoscere molte regole, che fanno corrispondere a una data forma una data funzione, o a dati segni grafici date entità, per poter finalmente avvicinare il medico. Finalmente è seduto davanti al medico, e tenta di spiegargli cosa ha capito quella mattina: “J’ai mal au ventre”. Il medico capisce le parole, ma non si fida: non è sicuro cioè che Sigma abbia indicato con le parole giuste la sensazione precisa. Fa domande, nasce uno scambio verbale, Sigma è portato a precisare il tipo di male, la posizione. Il medico ora palpa lo stomaco e il fegato di Sigma: alcune esperienze tattili hanno per lui un significato che per altri non hanno, perché ha studiato su libri che spiegano come a una certa esperienza tattile debba corrispondere una data alterazione organica. Il medico interpreta le sensazioni che Sigma ha avuto (e che lui non prova) e le compara alle sensazioni tattili che lui sta avendo. Se i suoi codici di semeiotica medica sono giusti, i due ordini di sensazioni dovrebbero corrispondere. Ma le sensazioni di Sigma arrivano al medico attraverso i suoni della lingua francese; il medico deve stabilire se le parole che si manifestano sotto forma di suoni sono coerenti, secondo gli usi verbali correnti, con le sensazioni di Sigma; ma nutre il dubbio che Sigma usi parole imprecise non perché abbia sensazioni imprecise, ma perché traduce male dall’italiano in francese. Sigma dice “ventre”, ma forse vuole dire “foie” (e d’altra parte può darsi che Sigma sia un incolto, e che per lui anche in italiano fegato e pancia siano una certa entità indifferenziata). Il medico ora guarda le palme delle mani di Sigma e le vede maculate irregolarmente di rosso: “Brutto segno” – mormora – “Lei non beve un po’ troppo?”. Sigma ammette: “Come ha fatto a capirlo?”. Domanda ingenua, il medico sta interpretando dei sintomi come fossero dei segni molto eloquenti: egli sa cosa corrisponde a una certa macchia, a un certo rigonfiamento. Però non lo sa con assoluta esattezza: attraverso le parole di Sigma e le sue esperienze tattili e visive ha individuato dei sintomi, e li ha definiti nei termini scientifici a cui lo ha abituato la sintomatologia studiata all’università, ma sa anche che a sintomi uguali possono corrispondere malattie diverse e viceversa. Deve ora passare dal sintomo alla malattia di cui è segno, e questo è affar suo. Speriamo che non debba fare anche una lastra, perché in tal caso dovrebbe passare da segni grafico-fotografici al sintomo che essi rappresentano, e dal sintomo all’alterazione organica. Non lavorerebbe su un solo sistema di convenzioni segniche, ma su più sistemi. La cosa è così difficile, che è facilissimo che sbagli diagnosi.
Del che non ci preoccuperemo. Possiamo abbandonare Sigma al suo destino (con i nostri migliori auguri): se riuscirà a leggere la ricetta che il medico gli darà (cosa non facile, perché la scrittura dei clinici pone non pochi problemi di decifrazione), forse potrà rimettersi in sesto e godersi la sua vacanza a Parigi. Può darsi tuttavia che Sigma sia un testardo imprevidente; e che di fronte all’ingiunzione “O lei smette di bere o non garantisco per il suo fegato!”, concluda che è molto meglio godersi la vita senza preoccuparsi per la salute, che ridursi nelle condizioni di un malato cronico che pesa cibi e bevande col bilancino. Sigma in tal caso opererebbe una opposizione tra Bella Vita e Salute, che non è omologa a quella consueta tra Vita e Morte: la Vita, vissuta senza preoccupazioni, col suo rischio permanente che è la Morte, gli apparirebbe come la stessa faccia di un valore primario, la Spensieratezza, a cui si opporrebbero d’altro canto Salute e Preoccupazione, entrambe apparentate alla Noia. Sigma avrebbe dunque un suo sistema di idee (così come lo ha in politica o in estetica) che si manifesta come una particolare organizzazione di valori o contenuti. Nella misura in cui questi contenuti gli si manifestano sotto forma di concetti o categorie mentali, anch’essi stanno per qualcos’altro, per le decisioni che implicano, per le esperienze che contrassegnano. Secondo alcuni, anch’essi si manifestano nella vita personale e interpersonale di Sigma come segni. Se sia vero, lo vedremo. Il fatto è che molti lo pensano. Ma per il momento quello che ci interessava rilevare era come un individuo normale, messo di fronte a un problema così spontaneo e naturale come un comune “mal di pancia”, fosse costretto a entrare immediatamente in un reticolo di sistemi di segni: alcuni connessi con la possibilità di compiere operazioni pratiche, altri più direttamente coinvolti con atteggiamenti che definiremmo “ideologici”. Tutti, in ogni caso, fondamentali ai fini dell’interazione sociale, e a tal punto da chiederci se i segni permettessero a Sigma di vivere in società o se la società in cui Sigma vive e si costituisce come essere umano altro non sia che un complesso sistema di sistemi di segni. Infine, ci sarebbe stata per Sigma coscienza razionale del proprio dolore, possibilità di pensarlo e classificarlo, se la società e la cultura non lo avessero umanizzato come animale capace di elaborare e comunicare segni? Tuttavia l’esempio a cui si è fatto ricorso potrebbe invogliare a pensare che questa invadenza dei segni sia tipica soltanto di una civiltà industriale, si verifichi nel cuore di una città, rutilante di luci, insegne, segnaletica stradale, suoni e segnali di ogni tipo: come se, infine, si avessero segni solo quando c’è civiltà, nel senso più banale del termine.
Invece Sigma vivrebbe in un universo di segni anche se fosse un contadino isolato dal mondo. Egli percorrerebbe la campagna di prima mattina, e dalle nuvole che si stagliano all’orizzonte saprebbe già predire il tempo che farà. Il colore delle foglie lo rassicurerebbe sul volger della stagione, una serie di striature sul terreno che si profila lontano sulle colline gli direbbe a quale tipo di coltivazione quel terreno è stato addetto. Un germoglio in un cespuglio gli segnalerebbe lo spuntare di un certo tipo di bacche, saprebbe distinguere i funghi velenosi da quelli commestibili, il muschio su un dato lato degli alberi, nel bosco, gli direbbe da che parte sta il nord, posto che non lo avesse già inferito dal movimento del sole. Sprovvisto come è di orologio, sarebbe sempre il sole a segnalargli l’ora che volge, e un filo di vento gli direbbe tante cose che un cittadino di passaggio non saprebbe decifrare; così come la percezione di un certo profumo (per lui che sa dove crescono certi fiori) gli direbbe forse da che parte spira il vento. Se fosse cacciatore, un’orma sul terreno, un ciuffo di peli lasciato su un ramo spinoso, una qualsiasi traccia infinitesimale, gli rivelerebbero quale selvaggina è passata di li, e persino quando… Insomma Sigma, anche immesso nella natura, vivrebbe in un mondo di segni. Questi segni non sono fenomeni naturali: i fenomeni naturali in sé non dicono niente. I fenomeni naturali “parlano” a Sigma nella misura in cui tutta una tradizione contadina gli ha insegnato a leggerli. E dunque Sigma vive in un mondo di segni non perché vive nella natura ma perché, anche quando è solo, vive nella società: quella società contadina che non si sarebbe costituita e non avrebbe potuto sopravvivere se non avesse elaborato i propri codici, i propri sistemi di interpretazione dei dati snaturali (che per ciò stesso diventavano dati culturali)
(da Umberto Eco, Segno, ISEDI Istituto Editoriale Internazionale, 1973 – pp. 9-14)
La casella di posta elettronica info@casadellospettatore.it è a disposizione di quanti vogliano stabilire un contatto diretto con lo Sportello didattico dei Teatri di Bari, per confrontare esperienze, spunti e modalità di impiego delle schede