La favola delle tre melarance

La favola delle tre melarance
Teatro Abeliano
Lunedì 20 e Martedì 21 marzo 2017 h 9.30 e 11.00


NB I contenuti di questa pagina compongono la scheda didattica
che è possibile che è possibile richiedere a scuole@teatridibari.it


Lo spettacolo

La favola delle tre melarance
Teatro B. Brecht

L’amore delle tre Melarance è la storia di un principe, di un re, di buffoni e saltimbanchi, di maghi, streghe e principesse, è una storia di intrighi, magie e trasformazioni, non solo una storia per i bambini. Racconta magistralmente le contraddizioni della vita reale portandole su un piano fantastico e mettendo al centro della vicenda un principe che non riesce più a ridere e che soltanto con un “maleficio” scopre il proprio destino e, in un modo assai rocambolesco, il proprio potenziale. II suo sogno lo porta verso luoghi ed emozioni, pericoli e meraviglie, centuplicati dal sentimento. Cerca le melarance (creature fantastiche e meravigliose, custodite dalla crudele Creonta e dalla sua cuoca che ammazza tutti con un mestolo di rame) con la passione che caratterizza ogni amore e ogni spinta del desiderio” (Eleonora Moro)
Attraverso i secoli scrittori, musicisti, poeti e pittori, si sono innamorati della favola delle tre Melarance. Il suo fascino, i suoi misteri e le sue trovate burlesche hanno incantato grandi e piccoli. Noi l’abbiamo “manipolala” a nostro e vostro piacere. Tre musicisti con i loro tanti suoni e strumenti tenteranno di raccontarvela a modo loro, giocando con la loro arte e prendendo in prestito quella del racconto teatrale con luci, scene, costumi e maschere.
Liberamente tratto dalla favola del Gozzi e prendendo in prestito l’uso musicale che ne fece Prokof’ev su scrittura di Mejerchol’d, il Teatro Bertolt Brecht presenta la sua versione con la regia di Maurizio Stammati.

Regia: Maurizio Stammati
Con: Dilva Foddai, Valentina Terraiuolo, Maurizio Stammati


La compagnia

Il Teatro Bertolt Brecht viene fondato nel 1974 a Formia ed inizia sin da allora un lavoro di ricerca sull’arte dell’attore. Dopo un primo periodo di studio sulle tecniche della pantomima, risulta decisivo per le sue scelte successive l’incontro con quella corrente del teatro di ricerca nota col nome di Terzo Teatro. I componenti del gruppo svolgono in momenti ed occasioni diverse attività ed esperienze formative con le maggiori personalità del Terzo Teatro, da Eugenio Barba (Odin Teatret – Danimarca) a Jerzy Grotowski (Polonia) e stabiliscono contatti e collaborazioni con i principali gruppi italiani: Piccolo Teatro di Pontedera, Teatro Potlach di Fara Sabina (RI), Teatro Tascabile di Bergamo, ecc. Il Teatro Bertolt Brecht non è solo una piccola sala di 70 posti, non una persona, non un insieme di persone ma quello che qualcuno chiama un ‘non luogo’. Un ‘non luogo’ di incontro, confronto, promozione culturale, un’idea, un modo di pensare non solo il teatro, una vera e propria filosofia di vita, una carovana itinerante tra Italia ed estero con un’attenzione particolare per il teatro per ragazzi. La scena non diventa il posto privilegiato per apparire ma per comunicare, le poltrone non per stare a guardare ma per partecipare. Musicisti, attori, scenografi, registri e menestrelli di ogni tipo portano avanti ormai da 40 anni un modo partecipato e coerente di fare cultura.
Il collettivo: Chiara Ruggeri, Dilva Foddai, Francesca De Santis, Maurizio Stammati, Pompeo Perrone. Il Teatro Bertolt Brecht è diretto da Maurizio Stammati
Collaborano stabilmente: Alessandro Izzi (drammaturgo e critico cinematrografico), Antonio Palmiero (tecnico audio-luci), Enrica De Nicola (grafica), Erika Mirante (operatrice laboratori), Marco Mastantuono (attore, psicologo e docente di drammatizzazione), Margherita Vicario (attrice e docente), Pasqualina De Santis (segreteria organizzativa), Piera Mastantuono (responsabile promozione e distribuzione), Salvatore Caggiari (attore, docente e scenografo), Simona Gionta (Ufficio Stampa e relazioni esterne), Vincenzo Tucciarone (webmaster)
Tournee in: Francia, Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Danimarca, Svezia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Albania, Tunisia, Iran, Malesia, Stati Uniti, Messico, Cuba, Finlandia, Guatemala, Cile, Perù, Argentina, Brasile, Paraguay ed in tutte le principali città delle regioni italiane
Collaborazioni: Circuito Teatri Off, Utopia Teatro ragazzi, Teatri d’Arte Mediterranei, Teatro dell’Acquario, Cosenza – Teatro Potlach, Fara Sabina, Libera Scena Ensemble – Napoli
Partnership: Regione Lazio – Progetto Officine Culturali, Teatri Riuniti del Golfo, Ipab SS. Annunziata, Fondazione Alzaia.

Per saperne di più:
http://www.teatrobertoltbrecht.it/


Prima della visione: spunti

TRE VERSIONI: LA SCENA DELLE MELARANCE

1.Gianbattista Basile

I tre cedri
in «Lo Cunto de li cunti» («Il Pentamerone»), 1634
Giornata quinta – Dei trattenimenti dei piccoli

[…] Accadde un giorno che, mentre erano a tavola, tagliando una ricotta e guardando il volo delle cornacchie, il Principe si tagliò un dito. Due gocce di sangue, cadendo sulla ricotta, fecero un miscuglio di colori così belli e graziosi che, forse per castigo d’Amore che l’aspettava al varco, forse per volere del cielo a consolazione del padre, che non era tormentato tanto dall’ernia quanto da quel puledro selvaggio di suo figlio, al Principe venne il capriccio di trovare una fanciulla bianca e rossa come quella ricotta tinta dal suo sangue.

Ciommetiello disse al padre: “Signor mio, se non avrò una sposa con questa carnagione sono perduto! Mai una donna mi ha infiammato il sangue e ora ne desidero una come il mio sangue. Perciò, se mi vuoi sano e vivo, deciditi a darmi i mezzi per andare a cercare per il mondo una bellezza che somigli a questa ricotta; altrimenti morirò di dolore”.

Sentendo ciò, al Re cadde la casa sul collo e restò gelato, mentre cambiava continuamente colore. Quando finalmente tornò in sé e riuscì ad aprire la bocca, disse: «Figlio mio, ciliegina dell’anima mia, occhio del mio cuore, bastone della mia vecchiaia, che vertigine ti ha preso? Hai perso il cervello? Se è un asso, non è un sei! Non volevi prendere moglie per lasciarmi senza erede e ora ti è venuta voglia per farmi morire? Dove vuoi andare sperduto e pellegrino, perdendo la tua vita e abbandonando la tua casa? Non sai quanti patimenti e pericoli toccano a chi si mette in viaggio? Figlio mio, fatti passare questo capriccio! Non voler vedere questa mia vita finita, questa casa crollata a sprofondo, questo Stato andato in malora!”.

Ma queste e altre parole a Ciommetiello da un orecchio entravano e dall’altro gli uscivano: erano gettate a mare. Il povero Re, poiché il figlio faceva come la cornacchia nel campanile, gli diede una bella manata di scudi, due o tre servi e lo salutò, sentendosi staccare l’anima dal corpo. Poi, affacciato a un terrazzino, piangendo come una vite tagliata, lo seguì con gli occhi finché non lo perse di vista. Partito dunque e lasciato il padre triste e amareggiato, il Principe cominciò a trottare per campagne e per boschi, per monti e per valli, per piani e per alture. Vide vari paesi ed ebbe a che fare con varia gente, sempre con gli occhi aperti a cercare il bersaglio del suo desiderio. Dopo quattro mesi, arrivò su una spiaggia di Francia, dove, lasciati i servi all’ospedale con un mal di testa ai piedi, s’imbarcò da solo su di una navicella genovese. E, veleggiando verso lo stretto di Gibilterra, là s’imbarcò su di un vascello più grande e se ne andò nelle Indie sempre cercando di trovare, di regno in regno, di provincia in provincia, di contrada in contrada, di strada in strada, di casa in casa, di buco in buco, l’originale tale e quale a quella bella immagine che aveva dipinto nel cuore. E tanto smosse le gambe e girò i piedi finché non arrivò all’Isola delle Orche, dove, gettata l’àncora e disceso a terra, incontrò una donna vecchia vecchia, magra magra e con una faccia brutta brutta. A lei raccontò la causa che lo aveva trascinato in quei paesi.

La vecchia rimase sbalordita ascoltando la bizzarra fantasia di quel Principe e le fatiche e i rischi affrontati per togliersi quel capriccio. Poi gli disse: “Figlio mio, squagliatela, perché se ti vedono i miei tre figli, che fanno i macellai di carne umana, la tua vita non varrà tre soldi, perché mezzo vivo e mezzo arrostito una padella ti farà da catafalco e una pancia da tomba! Vattene a passo di lepre: non andrai lontano, che troverai la tua fortuna”.

Sentendo ciò, il Principe rabbrividì, gelato atterrito e sbigottito. Si mise la via fra le gambe e, senza nemmeno dire arrivederci, cominciò a consumare le scarpe, finché non arrivò in un altro paese dove trovò un’altra vecchia peggiore della prima. Avendole raccontato per filo e per segno la sua storia, anche questa gli disse: «Squagliati presto da qua, se non vuoi servire da colazione agli orchetti figli miei. Ma corri perché si fa notte: un poco più avanti troverai la tua fortuna”.

Sentendo ciò, il povero Principe cominciò a menare i talloni come se avesse il fuoco sulla coda e, tanto camminò, finché non trovò una terza vecchia. Questa stava seduta sopra una ruota con un paniere infilato nel braccio, pieno di paste dolci e di confetti, che dava da mangiare a certi asini, che saltavano sulla riva di un fiume, tirando calci a certi poveri cigni. Il Principe, dopo averle fatto cento salamelecchi, le raccontò la storia del suo pellegrinaggio. La vecchia, consolandolo con parole gentili, gli offrì una colazione da leccarsi le dita e, quando si alzò da tavola, gli consegnò tre cedri, che sembravano appena colti dall’albero.

Ci aggiunse pure un coltello, dicendogli: “Puoi tornare in Italia, perché hai trovato quello che cercavi. Adesso vattene e appena sei poco lontano dal tuo regno, alla prima fontanella che trovi, taglia un cedro. Ne uscirà una Fata, che ti dirà dammi da bere! E tu sta’ pronto con l’acqua, altrimenti svanirà come l’argento vivo. Se non sei svelto nemmeno con la seconda Fata, fa’ attenzione a essere prontissimo con la terza, che non ti scappi, dàlle subito da bere e avrai una sposa secondo il tuo cuore”.

Il Principe, tutto allegro, baciò cento volte quella mano pelosa, che pareva la schiena di un porcospino. Poi, presa licenza, partì da quei paesi e, arrivato alla marina, navigò verso le Colonne d’Ercole. Entrò nei nostri mari e, dopo mille tempeste e mille pericoli, giunse in un porto distante appena un giorno dal suo regno. In un bellissimo boschetto, dove le Ombre facevano da palazzo ai prati perché il Sole non li vedesse, scese da cavallo vicino a una fontana che, con la sua lingua di cristallo, invitava a fischi la gente a rinfrescarsi la bocca. Qui, sedutosi sul tappeto siriano dell’erba e dei fiori, estrasse il coltello dal fodero e cominciò a tagliare il primo cedro. Ed ecco, come un lampo, ne uscì una bellissima fanciulla, bianca come il latte di latte e rossa come le fragole a ciocca, che disse dammi da bere! Ma il Principe rimase così sbalordito, a bocca aperta e affascinato dalla bellezza della Fata, che non fu abbastanza svelto a darle l’acqua, tanto che la Fata comparve e scomparve quasi nello stesso istante. Se questa fu una bastonata sulla zucca per il Principe, lo consideri chi ha desiderato a lungo qualcosa e, avendola tra le mani, la perde.

Tagliando il secondo cedro, gli successe lo stesso e fu la seconda bastonata, tanto che, facendo due fontanelle degli occhi, gettava lacrime a tu per tu con la fontana, non cedendole d’un palmo mentre, piangendo, diceva: “Come sono disgraziato, che mi venga un colpo! Due volte me la sono lasciata scappare, che mi venga una paralisi! Mi muovo come uno scoglio, mentre dovrei correre come un levriero! L’ho fatta proprio bella! Svegliati, disgraziato, che ce n’è solo un’altra, al tre vince il Re! O questo coltello mi dà la Fata o quella cosa che puzza!”.

E, mentre dice queste parole, taglia il terzo cedro e ne esce la terza Fata, che, come le altre, dice dammi da bere! Il Principe subito le dà l’acqua ed ecco gli resta in mano una fanciulla tenera e bianca come una giuncata, con una riga di rosso, che sembrava un prosciutto d’Abruzzo o una soppressata di Nola. Una cosa mai vista al mondo, una bellezza senza misura, un bianco splendente più del bianco, una grazia più del più. Sui suoi capelli Giove aveva fatto piovere l’oro e con quello Amore fabbricava le frecce per trapassare i cuori. Su quella faccia Amore aveva dipinto i colori, perché qualche anima innocente restasse impigliata nel vischio del desiderio. In quegli occhi il Sole aveva acceso due luminarie, perché nel petto di chi la guardava si desse fuoco alla polveri ed esplodessero razzi e tricche-tracche di sospiri. Su quelle labbra era passata Venere con il suo tempio, colorando la rosa per pungere con le spine mille anime innamorate. Su quel petto Giunone aveva spremuto i suoi seni per allattare le voglie umane. Insomma era tanto bella, dalla testa ai piedi, che non si poteva vedere cosa più splendente, tanto che il Principe non sapeva più cosa gli fosse successo e guardava, fuori di sé, un così bel parto del cedro, un così bel pezzo di donna germogliato dal frutto, dicendo fra sé: “Dormi o sei sveglio, Ciommetiello? Ti si è incantata la vista o ti sei infilato gli occhi a rovescio? Che cosa bianca è uscita da una scorza gialla! Che pasta dolce dall’agro di un cedro! Che bel frutto da un piccolo seme!”. Infine, accortosi che non era un sogno, abbracciò la Fata, dandole cento e cento baci a pizzichino. […]


2.Carlo Gozzi
Analisi riflessiva della fiaba
L’amore delle tre melarance
Rappresentazione divisa in tre atti (1761)

ATTO TERZO

Si apriva la scena al luogo dov’era il lago d’abitazione della Fata Morgana. Si vedeva un albero grande; sotto a quello un sasso grande, in forma di sedile. Erano pure sparsi per quella campagna vari macigni. Smeraldina, il di cui linguaggio era di Turca Italianizzata, stava sulla riva del lago per attendere gli ordini della Fata. S’impazientava, chiamava.

Usciva la Fata dal lago. Narrava d’essere stata all’Inferno, e di aver saputo, che Tartaglia, e Truffaldino, aiutati da Celio, venivano, spinti dal mantice d’un Diavolo, vittoriosi delle tre Melarance. Smeraldina rimproverava la sua ignoranza nella magìa; era arrabbiata. Morgana, che non si stancasse. Per un accidente ordinato da lei, Truffaldino sarebbe arrivato in quel luogo disgiunto dal Principe.

Una fame, e una sete magica lo molesterebbero. Avendo seco le tre Melarance, succederebbero grandi accidenti. Consegnava due spilloni indiavolati a Smeraldina mora. Diceva, che sotto all’albero avrebbe veduta una bella ragazza sedere sopr’al sasso. Questa sarebbe la sposa scelta da Tartaglia. Procurasse con arte di ficcare uno degli spilloni nel capo a quella ragazza. Sarebbe diventata una colomba. Sedesse sul sasso in iscambio di quella ragazza. Tartaglia avrebbe sposata lei; diverrebbe Regina. La notte dormendo col marito piantasse nel capo a quello l’altro spillone; sarebbe diventato un animale; e così restava libero il Trono a Leandro e Clarice. La Mora trovava delle difficoltà in questa impresa, spezialmente quella d’esser conosciuta in Corte. L’arte magica di Morgana spianava tutte le impossibilità, come si deve credere. Conduceva via la Mora per meglio istruirla, e perchè vedeva giungere Truffaldino spinto dal vento infernale.
Usciva Truffaldino correndo col Diavolo, che lo soffiava, e colle tre Melarance in una bisaccia. Il Diavolo spariva. Truffaldino narrava esser caduto il Principe poco discosto per l’impeto del correre: che lo avrebbe aspettato. Sedeva.

Una fame e una sete prodigiosa l’assalivano. Destinava di mangiarsi una delle tre Melarance. Aveva de’ rimorsi, faceva una scena tragica. Finalmente molestato, e accecato dalla prodigiosa fame, risolveva di fare il gran sacrifizio. Rifletteva di poter rimettere il danno con due soldi. Tagliava una Melarancia. Qual miracolo! Usciva da quella una giovinetta vestita di bianco, la quale, fedel seguace del testo della Favola, diceva tosto:

Dammi da bere, ahi lassa! Presto moro, idol mio,
Moro di sete, ahi misera! Presto, crudele. Oh Dio!

Cadeva in terra presa da un languor mortale. Truffaldino non si ricordava gli ordini di Celio, di non dover aprire le Melarance, che appresso una fonte. Balordo per istinto, e per il caso mirabile disperato non vedeva il lago vicino; gli veniva in mente solo il ripiego di tagliar un’altra delle Melarance, e di soccorrere la moribonda per la sete col succo di quella.

Faceva tosto l’animalesca azione di tagliare un’altra Melarancia, ed ecco un’altra bella ragazza col suo testo in bocca per tal modo:

Oimè, muoio di sete. Deh dammi ber, tiranno.

Crepo di sete, oh Dio! ch’io svengo per l’affanno.
Cadeva, come l’altra. Truffaldino esprimeva le smanie sue grandissime. Era fuori di sè, disperato. Una delle fanciulle seguiva con voce flebile:
Crudel destin! Di sete morrà; muoio; son morta.
Spirava. L’altra aggiungeva:
Moro. barbare stelle: oimè, chi mi conforta!

Spirava.

Truffaldino piangeva, parlava loro con tenerezza. Stabiliva di tagliar la terza Melarancia per aiutarle. Era per tagliarla, quando usciva Tartaglia furioso, che lo minacciava. Truffaldino spaventato fuggiva abbandonando la Melarancia. Gli stupori, i riflessi, che faceva questo grottesco Principe sui gusci delle due Melarance tagliate, e sopra a’ due cadaveri delle giovinette, non sono dicibili. Le maschere facete della Commedia all’improvviso in una circostanza simile a questa fanno delle scene di spropositi tanto graziosi, di scorci, e di lazzi tanto piacevoli, che nè sono esprimibili dall’inchiostro, nè superabili da’ Poeti. Dopo un lungo, e ridicolo soliloquio, Tartaglia vedeva passar due villani, ordinava l’onorata sepoltura di quelle due giovinette. I villani le portavano via. Il Principe si volgeva alla terza Melarancia. Ella era con sua sorpresa portentosamente cresciuta, quanto una grandissima zucca. Vedeva il lago vicino, dunque per i ricordi di Celio, il luogo era opportuno per aprirla; l’apriva col suo spadone, ed usciva da quella una grande, e bella fanciulla, vestita di teletta bianca, la quale adempiendo al testo del grave argomento esclamava:

Chi mi trae dal mio centro! Oh Dio i muoio di sete.
Presto datemi bere o invan mi piangerete.
(cadeva in terra)

Il Principe intendeva la ragione dell’ordine di Celio. Era imbrogliato per non aver nulla da raccoglier dell’acqua. Il caso non ammetteva riguardi di politezza. Si traeva una delle scarpe di ferro, correva al lago, la empieva d’acqua, e chiedendo perdono dell’improprietà del bicchiere, dava ristoro alla giovinetta, che robusta si rizzava ringraziandolo del soccorso. Ella narrava d’esser figliuola di Concul. Re degli Antipodi, e d’esser stata condannata con due sorelle dalla crudel Creonta, per incantesimo, nel guscio d’una Melarancia, per ragioni tanto verisimili, quant’era verisimile il caso. Seguiva una scena facetamente amorosa. Il Principe giurava di sposarla. […]


3.Sergej Sergeevič Prokof’ev
Ljubov’ k trem apel’sinam
Opera in 4 atti e dieci quadri con un prologo
Libretto di Sergej Prokof’ev
dalla fiaba di Carlo Gozzi

Atto terzo
Quadro terzo

Il deserto. È sera. Il Principe e Truffaldino entrano lentamente. Penosamente essi si trascinano dietro con una corda le tre melarance, che ora sono diventate considerevolmente grosse)

[…]
IL PRINCIPE
Come camminare oltre
Se il vento non ci aiuta!
TRUFFALDINO
Le melarance sono così grandi
Che solo a gran fatica si possono trascinare.
IL PRINCIPE
Ah! Ho sonno!…
TRUFFALDINO
Ah! Ho sete!…
IL PRINCIPE
Sono a pezzi!
TRUFFALDINO
Ho sete, Principe!
IL PRINCIPE
Vorrei stendermi, Truffaldino.
TRUFFALDINO
Principe, ma mentre voi dormirete,
io morirò di sete!
IL PRINCIPE
Non è nulla, dormi un po’!
Il sonno ci ridarà le forze.
Dormi, buon Truffaldino.
(Si sdraia e s’addormenta)
TRUFFALDINO
Come potrei dormire!
Dormire quando ho una sete del diavolo!
Impossibile trovare un goccio d’acqua;
Datemi da bere!
Datemi dell’acqua!
Principe! Principe!
Mio Principe! Alzatevi, Principe!
Principe! Ah!…
Dorme come un sasso.
Le melarance?…
E se ne aprissi
Anche una sola delle tre?
Sono così belle, così succose!
No, ho paura del Principe!
Ma se dovessi morire,
Morire di sete senza aiuto?
Allora il Principe, il mio povero Principe
Resterebbe solo.
Tutto crollerebbe:
Le tre melarance, il Principe ed io.
È senza dubbio meglio
Che ne mangi una.
(Estasiato, abbraccia una melarancia)
Com’è succosa!
Ah, com’è enorme!…
(Taglia la melarancia in due con la sua spada; ne esce una fanciulla vestita di bianco)
Una fanciulla in bianco?
LINETTA
Sono la principessa Linetta!
TRUFFALDINO
Principessa…
Al posto del succo fresco di una melarancia?
LINETTA
Dammi da bere! Da bere, di grazia,
altrimenti morirò subito,
Altrimenti morirò di sete.
TRUFFALDINO
Principessa… Principessa…
Dove trovare una fonte?
Tutto è arido…
LINETTA
Di grazia, più in fretta,
Dammi da bere, non essere impietoso!
TRUFFALDINO
Principe… mio Principe!
(Lo scuote per una spalla, ma invano)
LINETTA
Solo una goccia…
TRUFFALDINO
Principessa… Principessa…
Subito,
Aprirò l’altra melarancia…
LINETTA
Da bere… da bere…
(Truffaldino maneggia la spada. Dalla melarancia esce un’altra fanciulla in bianco. È Nicoletta)
TRUFFALDINO
Cosa?, ancora una principessa?
LINETTA
Una goccia…
NICOLETTA
Mi chiamo Nicoletta.
TRUFFALDINO
Che miracolo!
NICOLETTA
Dammi da bere! Da bere, di grazia!
Altrimenti morirò subito!
Ho una sete terribile,
Altrimenti morirò di sete!
La mia vista si appanna!…
Pietà di me…
LINETTA
Una sola goccia!
La mia vista si appanna!
Oh! Salvami!
TRUFFALDINO
(sbalordito, indietreggia davanti alle due principesse che si tendono verso di lui come delle ombre)
Principesse… Pazienza!
Solamente qualche ora…
Coraggio…
Ah, com’è terribile tutto questo!
LINETTA
Grazia… Grazia… Grazia…
(Ella muore)
TRUFFALDINO
È morta?
NICOLETTA
Dell’acqua… Di grazia… Grazia… Grazia.
(si accascia e muore)
TRUFFALDINO
Anche lei?
(Preso da un terrore superstizioso)
Partiamo… Partiamo in fretta!
(fugge)
IL PRINCIPE
(ancora addormentato)
Eh! Truffaldino!… Truffaldino!…
(Svegliandosi di soprassalto)
Truffaldino, partiamo!
Dov’è!
Non c’è mai.
(vedendo le principesse morte)
Ma cos’è?
Due fanciulle bianche?
Due fanciulle morte?
In questo deserto arido…
Strano destino…
(Passano quattro soldati il cui andamento militare è esagerato)
Fermi!
(I soldati si fermano come cristallizzati sul posto)
Prendete questi due cadaveri e sotterrateli laggiù.
(I soldati si avvicinano alle Principesse, le sollevano e le portano via)
(Alla melarancia che resta)
Cara melarancia!
Alfine ho la gioia di essere solo con te,
Solo io e te.
Devo sapere cosa contiene la melarancia.
In lei, lo so, si nasconde il mio sogno.
Cara melarancia!
Cara melarancia,
Dammi quello che cerco.
(Apre la terza melarancia e ne esce Ninetta)
Principessa!
NINETTA
Mi chiamo Ninetta.
IL PRINCIPE
(cadendo in ginocchio davanti a lei)
Principessa! Principessa!
Ti cerco da quando sono
Nato!
Principessa! Principessa
Ti amo più di tutto il mondo!
NINETTA
Ti cerco da sempre.
IL PRINCIPE
(ebbro d’amore, le abbraccia i ginocchi)
Ah! Come ti amo!
NINETTA
Dammi da bere! Da bere, di grazia,
Altrimenti morirò subito.
Ho una sete terribile,
Altrimenti morirò di sete.
IL PRINCIPE
Aspetta qualche istante, principessa!
Qui è il deserto!
Vieni subito, andiamo verso la città.
NINETTA
Da bere!
La mia vista si appanna… Soccombo!
IL PRINCIPE
Partiamo, Principessa!
NINETTA
Aiutami…
(Cade fra le braccia del Principe)
Ah!
(I Commedianti dalla torre di destra si rivolgono ai loro colleghi della torre di sinistra)
I COMMEDIANTI DI DESTRA
Ehi, Voialtri,
Non avreste un po’ d’acqua?
NINETTA
Ah!
I COMMEDIANTI DI SINISTRA
È possibile!
NINETTA
Ah!
I COMMEDIANTI DI DESTRA
Ma allora dategliela, dunque!
Deve bere!
I COMMEDIANTI DI SINISTRA
D’accordo.
(I commedianti portano dalla torre un secchio d’acqua, e dopo averlo messo al centro della scena, tornano al loro posto)
NINETTA
Grazia!… Grazia!…
IL PRINCIPE
Ah, è atroce!
(Accorgendosi del secchio d’acqua)
Prendi dell’acqua…
Bevi, mia dolce Principessa!
Bevi quest’acqua fresca!
(Le dà da bere dal secchio)
NINETTA
Grazie, mio Principe!
Tu mi hai salvato la vita
E mi hai liberato dalla schiavitù!
Sei tu che attendo da sempre!
IL PRINCIPE
No, nulla poteva arrestare
La mia corsa verso di te, beneamata!
Non ho avuto paura dell’orribile Creonta,
Ho dominato l’orrende cuoca!
Ho sfidato il mestolo mortale,
Ho penetrato quell’inferno che è la cucina.
No, no!
Il mio amore è più forte di Creonta,
più caldo della sua cucina,
Davanti all’amore si inchina il mestolo
E trema Creonta.
NINETTA
Oh, mio Principe!
Sei tu che attendevo,
Sei tu il mio solo amore,
Con te sarò sempre felice.
[…]


La casella di posta elettronica info@casadellospettatore.it 
è a disposizione di quanti vogliano stabilire un contatto diretto 
con lo Sportello didattico dei Teatri di Bari, per confrontare 
esperienze, spunti e modalità di impiego delle schede


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