Presentata l’Agenda 2020 di Teatri di Bari

Teatri di Bari generica

Un anno in compagnia della cultura, grazie all’Agenda 2020 firmata da Teatri di Bari. Un contenitore di idee e spazio di espressione artistica che, oltre ad assumere la funzione classica di calendario e promemoria, diventa strumento di divulgazione culturale. Giunta alla sua quarta edizione, l’Agenda contiene tutte le informazioni sia sulle rassegne curate da Teatri di Bari negli spazi gestiti a Bari (Teatro Kismet), Monopoli (Teatro Radar) e Molfetta (Cittadella degli Artisti), sia per le produzioni in tournée in tutta Italia.

Svelato anche il nome del vincitore del contest letterario 2020 battute per un anno di teatro, che come da tradizione viene lanciato insieme all’Agenda. Un concorso rivolto agli under 35 di tutta Italia, a cui abbiamo chiesto di inviare un racconto inedito di 2020 battute a partire da un incipit scritto da Nabil Bey, voce e fondatore dei Radiodervish.

Vincitrice quest’anno, tra i numerosi scritti arrivati, è Paola Montemurro, classe 1993 di Matera. Il suo racconto, dal titolo Mi manca casa, apre l’Agenda di quest’anno. Riceverà inoltre un abbonamento valido per tutti gli spettacoli della Stagione di prosa 2019/2020 in programma nei teatri Kismet di Bari, Radar di Monopoli e Cittadella degli artisti di Molfetta.

Un progetto che non avrebbe la stessa valenza senza il contributo dei sostenitori di Teatri di Bari, presenti costantemente per tutto l’anno in varie forme e che in occasione del Natale hanno scelto di essere anche partner dell’iniziativa: Esse Ingegneria, Co&ma, SudSistemi, Grafisystem, Planetek, Centro Ottico Lavermicocca, Centro Studi Leaders, Comfort Store Monopoli, AgOffice, Marcotrigiano Costruzioni, Architetto Paolo Maffiola, Archithesis, Luci di Scena, Pasquale Romito Cataldo e Cartolibreria Futura.

IL RACCONTO INTRODUTTIVO

Layla, studentessa di medicina appartenente alla seconda generazione di immigrati maghrebini, era scesa nelle strade della capitale per protestare come tanti altri giovani del paese. Il fazzoletto che le copriva il naso e la bocca la proteggeva dal fumo tossico dei copertoni incendiati. Federico invece era un musicista, veniva da una città del sud e si era unito anche lui ai comitati di protesta contro la corruzione degli apparati di stato, l’ingiustizia sociale e l’aumento delle tasse. La sua città aveva subito un forte spopolamento, riducendosi quasi a una città fantasma, in seguito alla mancata attuazione del piano di conversione industriale del polo siderurgico, che nel secolo scorso ne aveva compromesso gravemente la vivibilità a causa dell’inquinamento atmosferico.

Layla e Federico quella sera erano nell’avamposto dei manifestanti. Nonostante la tensione intorno, durante la movimentata giornata di contestazioni, si erano scambiati più volte sguardi colmi di dolcezza. Ora, a fine giornata, un momento di relativa calma procurò finalmente a Federico lo slancio e l’intraprendenza per avvicinarsi e cercare un contatto con Layla. Tentando di vincere la sua timidezza, decise di rivolgersi a lei con la frase di un famoso romanzo giallo: “A che punto è la notte?”, disse. Lei, sorpresa, non riuscì e trattenere il sorriso, si liberò dal fazzoletto svelando il suo graziosissimo volto e rispose: …

(di Nabil Bey)

«Troppo buia per poter essere affrontata con coraggio» rispose dopo qualche istante di stupore.

Federico osservò la dolcezza del suo sorriso, il primo che vedeva quel giorno, e si sentì come avvolgere da una coperta che sapeva di amore e gentilezza. Gli accadeva la stessa cosa quando le note del suo violoncello perdevano la loro fisicità per diventare qualcosa che apparteneva solo all’anima. In quei momenti si sentiva coccolato, come rassicurato da una voce amorevole che, con discrezione, gli si avvicinava per sussurrargli all’orecchio andrà tutto bene. Quando suonava, si sentiva di nuovo a casa, in quel paesotto pieno di gatti e nonnine che gli ripetevano di fare attenzione alle ginocchia. Quel costante odore di origano, timo e muschio che lì crescevano spontanei e rigogliosi, mentre, nella triste realtà del suo presente, li poteva trovare soltanto sugli scaffali di qualche ipermercato.

Un senso di vuoto gli oppresse il petto e, istintivamente, mosse un passo indietro, incapace di nascondere il proprio dolore.

«Con coraggio, hai detto? Un tempo lo ero, forse, ma, alla fine, anch’io sono scappato.»

«A volte non abbiamo scelta» Layla chinò il bel viso ambrato.

 «Prima non potevo fare a meno di osservarti, sai?» mormorò lui, dopo qualche istante di silenzio imbarazzato.

Layla voltó il viso di lato, sentendosi smarrita. «Perché?»

«Avevi gli occhi pieni di lacrime, eppure sorridevi. Si vedeva anche se avevi la bocca coperta. Per tutto il tempo mi sono chiesto a che cosa stessi pensando.»

Layla sollevò gli occhi su di lui. Erano profondi, densi e infinitamente tristi.

«Sento di non appartenere a questa città, a questo Paese o a quello dei miei genitori. A volte mi sembra di non avere alcuna identità e ciò mi spaventa.»

Federico si asciugò frettolosamente quell’unica, disobbediente lacrima sfuggita al suo rigido controllo.

«Eppure sei qui. Questo vuol dire che non ti sei ancora arresa.»

«Per questo sorridevo. Nonostante tutto, ho molto per cui ringraziare.»

«Ti va… di raccontarmi la tua storia?» Federico si passò una mano dietro la nuca, rosso come un peperone in viso.

Layla esitò un solo istante, prima di annuire, tornando di nuovo a sorridere.  «Solo se mi concederai l’onore di sentire anche la tua.»

Federico le tese una mano, sorridente anche lui. «È un patto?»

Lei strinse quella mano, grande e calda, sentendosi finalmente a casa per la prima volta. «Sì, è un patto.»

(Di Paola Montemurro)

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