Cinque invettive, sette donne e un funerale
di e con Concita De Gregorio musica live Erica Mou
regia Teresa Ludovico
spazio scenico e luci Vincent Longuemare
cura della produzione Sabrina Cocco
Un’ultima cosa è un progetto a cui lavoro da molti anni senza sapere che fosse un progetto. È una ricerca intima e personale che mi ha condotta nel corso della vita ad appassionarmi alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento – donne spesso rimaste in ombra, o all’ombra di qualcuno. Ho studiato il loro lessico fino a ‘sentire’ la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlare con loro. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente, non conosco altro modo. La prima è stata Dora Maar, la donna che piange dei quadri di Picasso, che mi accompagna fin da bambina. Poi sono venute Amelia Rosselli poeta, nell’adolescenza, Carol Rama e la sua ossessione artistica per il sesso motore di vita, Maria Lai che ha ricamato libri e tenuto insieme, coi suoi fili dorati, persone, paesi e montagne. Infine Lisetta Carmi, che – unica vivente – mi ha aperto le porte di casa sua e reso privilegio della sua confidenza. Di molte altre ho seguito le tracce nei decenni ma a queste cinque, in epoche diverse, ho dedicato un’orazione funebre immaginando che fossero loro stesse a parlare ai propri funerali. Loro che si alzano, di fronte alla platea lì riunita, e raccontano chi sono state o per meglio dire: chi sono e per sempre saranno.
Invettive, perché le parole e le intenzioni sono veementi e risarcitorie. Molto diverse nei toni e nel linguaggio perché ogni donna, naturalmente, è diversa. Ho usato per comporre i testi soltanto le loro parole – parole che hanno effettivamente pronunciato o scritto in vita – e in qualche raro caso parole che altri, chi le ha amate o odiate, hanno scritto di loro. Il risultato sono testi composti da un vocabolario proprio di ciascuna – la sua voce – ma di pura invenzione: ho immaginato che dicessero qualcosa che non hanno mai avuto il tempo, il modo di dire.
Ogni tanto mi è capitato di leggerne qualche brano a pochi amici, e solo quando Teresa Ludovico mi ha chiesto di ascoltarle tutte ho saputo che si trattava di un progetto, sì, per quanto sin lì inconsapevole e dettato da un personale bisogno. La drammaturgia è stato un lavoro di montaggio che dà vita a cinque quadri in successione: le donne prendono parola in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta un’ultima cosa da dire”.
Ho chiesto a Erica Mou, una voce magnifica al servizio di una scrittura pura, di dare vita sul palco a un’anima infantile e arcaica insieme: i suoi canti popolari, le sue ninne nanne fanno da controcanto e accompagnano le ultime parole di queste cinque donne con le prime che una bambina sente quando viene al mondo. La lingua universale del dialetto cuce i destini e chiude il cerchio.
Concita De Gregorio
“Ah.
Vuoi scrivere la mia orazione funebre
Ma io non sono morta. Accidenti.
Non so se ti posso aiutare.
Vorrei. Fammi provare. Vorrei
Non ci avevo mai pensato. E’ vero questo che dici, sì sì.
E’ giusto: dovremmo essere noi a parlare di noi stessi, al nostro funerale
Sono così scialbi i discorsi d’occasione dei parenti
A parte i figli e i nipoti, certo
che a volte dicono cose minime
e vere, a volte sorridono persino. Io vorrei che tutti sorridessero
ma di figli non ne ho. Perciò dubito
temo la cerimonia solenne il ricordo accorato
Che spreco.
Che occasione mancata.
Sarebbe bello esserci da vivi – hai ragione
Dare a tutti il benvenuto
approfittare per dire un’ultima cosa”.
(Lisetta Carmi, musicista, fotografa)
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