Il malato immaginario ovvero le Molière imaginaire

Teatri di Bari / Teatro Kismet OperA
Il malato immaginario ovvero le Moliére imaginaire

Teatro Kismet – Teatri di Bari- Bari
lunedì 20 febbraio 2017 h 10.00
martedì 21 febbraio 2017 h 10.00
mercoledì 22 febbraio 2017 h 10.00

Teatro Mercadante- Altamura
venerdì 3 marzo 2017 h 9.00 h 11.00


NB I contenuti di questa pagina compongono la scheda didattica
che è possibile richiedere a scuole@teatridibari.it


LO SPETTACOLO

Teatri di Bari / Teatro Kismet OperA
Il malato immaginario ovvero le Moliére imaginaire

Una casa del sud, in un bianco e nero da pellicola neorealista, con qualche lampo di colore. Una maschera, Pulcinella, espressione di quell’anima popolare, beffarda, liquida che pervade tutta l’opera di Molière; uno spirito che entra ed esce dai panni di una serva o di un fratello e che continuerà la sua recita anche quando si spegneranno le luci della ribalta.

Un malato brontolone accudito da una serva petulante e ficcanaso, insolente e fedele come sapevano essere certe nostre donne, un po’ zie un po’ comari, un po’ tuttofare che governavano casali, masserie o palazzotti di signori o finti signori. Una figlia angelica, una moglie perfida, un fratello consigliere, un giovane innamorato e medici, tanti medici che millantano crediti, maschere farsesche in un mulinello a volte assordante, una danza grottesca di quel quotidiano stretto fra le pareti domestiche dove ogni sussurro si amplifica, dove covano intrighi, dove si fingono finzioni e il malato? Imaginaire…
Argante

Per il malato Argante «vivere è essere malati!». Non gli interessa la guarigione, ma quel mistero che i medici, con la loro presenza, le loro cure, le loro formule in latino gli promettono. La malattia come bisogno di non esistere, di addormentarsi, finché tutta la vita sia risucchiata dal quel nulla anestetico che aspira all’eternità.

Solo una malattia immaginaria può proteggere dalla disperazione di vivere. Argante è un solitario e il suo è un immenso soliloquio, un teatro-monologo. Forse solo Molière sarebbe potuto essere il suo interlocutore; infatti, eccezionalmente, viene citato in scena cancellando così il diaframma tra il teatro e la realtà, tra la recitazione e la vita. Tra Molière e Argante c’è una relazione misteriosa e profonda, non è la malattia il loro punto di incontro ma la comune vocazione immaginaria, la loro separazione dalla realtà.

La musica
Negli spettacoli di Molière era fondamentale. Storica la collaborazione con Lulli, compositore italiano di corte, e storica la rottura del loro rapporto in occasione della messa in scena de Il malato immaginario. Avendo Nino Rota composto Le Molière imaginaire si è “immaginato” che i due artisti si incontrano e dialogano; tre secoli li separano ma l’arte non conosce tempo e spazio. Un Molière anche per raccontare l’artista Molière, la vita di chi professa la fede del teatro. Alla quarta replica de Il malato immaginario, come un” povero cristo,” Molière, nella parte di Argante, volse gli occhi al cielo, perse la parola e rimase soffocato dalla grande quantità di sangue che gli usciva dalla bocca. Agli attori era negata la sepoltura in terra consacrata, a meno che non avessero rinnegato la propria professione. Fu necessario l’intervento del Re Sole perché potesse essere inumato, di notte, in un cimitero. Ma avrebbe Molière rinnegato mai la sua professione? No.Dopo che il morso del teatro ti ha inciso profondamente, dove ti seppelliscono non conta più. Vita e scena si mischiano, il tempo dell’arte è un tempo ibridato di perenne inquietudine, pezzi di personaggi si attaccano alla pelle e pezzi di pelle leniscono le ferite dei personaggi.

Le Molière imaginaire ovvero la malattia del teatro.
Regia, adattamento e riscrittura: Teresa Ludovico
Con: Augusto Masiello, Marco Manchisi e con Serena Brindisi, Ilaria Cangialosi, Michele Cipriani, Andrea Fazzari, Daniele Lasorsa
Fagotto: Michele Di Lallo
Pianoforte: Cosimo Castellano
Arrangiamenti musicali: Michele Di Lallo
Consulenza musicale: Nicola Scardicchio, Leonardo Smaldone
Spazio e luci: Vincent Longuemare
Adattamento in lingua napoletana: Marco Manchisi
Assistente alla drammaturgia: Loreta Guario
Assistente alla regia: Tatsuya Kusuhara
Collaborazione al movimento: Giorgio Rossi
Cura dell’allestimento: Francesco Gennaccaro, Giovanni Pascazio, Franco Martiradonna
Responsabile tecnico: Carlo Pastore
Costumi: Luigi Spezzacatene
Assistente costumi: Franco Colamorea
Sartoria: Artelier Casa d’Arte
Maschera di Pulcinella: Stefano Perrocco di Meduna
Cura della produzione: Franca Angelillo
Si ringrazia per gli allestimenti: Il Chiodo progetto globale. Siderurgica Pugliese, Napolitano strumenti musicali C.E.M. srl Bari


LA COMPAGNIA

Teatri di Bari / Teatro Kismet OperA

Per la prima volta in Puglia prende forma una collaborazione organica tra due strutture teatrali consolidate come il Kismet e l’Abeliano. Queste, raccogliendo la nuova sfida ministeriale danno vita al Consorzio Teatri di Bari, riconosciuto dalla Commissione consultiva per la prosa del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, TRIC – Teatro di Rilevante Interesse Culturale, per il triennio 2015-2017, unico in tutto il Sud Italia.

Il punto di forza dei Teatri di Bari è quello di mettere assieme due realtà che negli ultimi 45 anni si sono battute per radicarsi sul territorio, convinte della necessità di un teatro come motore di cultura per le nuove generazioni e del ruolo sociale e civile che un teatro ha nel suo contesto. Il Kismet, Stabile d’innovazione per l’infanzia e la gioventù che ha puntato tutta la sua poetica sull’attenzione ai giovani, incontra l’Abeliano che ha indirizzato la propria attività sul lavoro dell’attore e sulla grande tradizione teatrale italiana per non tacere della ricerca nell’ambito delle tradizioni popolari per rendere vivo il rapporto con l’identità e il territorio. Mettendo assieme due strutture prima indipendenti, Teatri di Bari prende il meglio della loro reciproca vocazione, con l’obiettivo di rigenerarsi nel dialogo con le nuove generazioni di artisti e compagnie pugliesi. Un teatro che non fa discriminazione di genere, che sposa l’idea di teatro popolare nel suo senso più vero, proponendo una ricerca artistica che accoglie diversità di radici, di genere, di gusto. Punto forte di Teatri di Bari è la concezione di un teatro come casa di cultura, aperta al dialogo, in cui lo spettacolo diventa propulsore che alimenta, tutto attorno, forme molteplici di incontro con gli spettatori, con gli altri linguaggi artistici, con le altre realtà culturali.

Produrre, promuovere e diffondere arte scenica in tutti gli ambiti della vita culturale e sociale è uno degli obiettivi che il Teatro Kismet OperA ha prefigurato fin da i suoi esordi. Il Kismet nasce a Bari nel 1981 come compagnia teatrale ragazzi per iniziativa di giovani attori provenienti da una scuola universitaria di formazione all’attore diretta da Carlo Formigoni; seguendo poi il suo “felice destino” – kismet in sanscrito – viene riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Teatro Stabile d’ Innovazione.

Nel 1989 inaugura la sua casa teatrale scegliendo, volutamente un ex capannone industriale, luogo preposto a valorizzare un’idea di teatro come officina artistica, fucina di idee, luogo d’incontro, centro di cultura e di dialogo permanenti. Negli anni l’Opificio per le Arti Kismet OperA configura sempre più la sua attività attraverso differenti percorsi produttivi e si fa polo di attrazione di artisti italiani e stranieri, diventando modello di mediazione tra il teatro e le altre forme di creazione quali la scrittura, la pittura, il video, la fotografia, la musica.

Un teatro sempre aperto, che alla produzione di spettacoli e all’ospitalità di altre compagnie teatrali, unisce proposte di formazione, incontri e laboratori per le scuole, percorsi di ricerca drammaturgica, rassegne musicali, attività volte al dialogo e al confronto sui temi fondanti della cultura e, in sostanza, della socialità stessa.

Un teatro sì fatto ha dunque necessariamente bisogno, al suo interno, di uno spazio “altro”, un luogo neutro capace di accogliere l’eterogeneità dell’ospite, un luogo in cui poter collocare liberamente l’emozione dell’arte. Ed è una grande sala con bar, un foyer arioso e brillante, giallo come il sole, lo spazio preposto a far sì che tutto ciò possa accadere, che ci sia un “prima” e un “dopo” lo spettacolo, una continua contaminazione di forme artistiche e di linguaggi, un’occasione per trascorrere l’intera serata in compagnia delle maestranze e degli attori padroni di casa

Per saperne di più:
http://www.teatridibari.it/


CHI L’HA GIà VISTO

“Argante come Mòliere, vive soltanto all’interno del suo essere Malato immaginario e il suo-loro male si chiama immaginazione, ma è un’immaginazione attiva, vale a dire è teatro. Dall’interno di una machina tutta teatrale, fatta di praticabili, di botole che si aprono e chiudono, con sottopalchi affollati di attori pronti alla ribalta, fondali appesi per proiezioni e colori (immaginazione barocca risolta in scenotecnica) è issata in alto al sedia gestatoria del Malato: letto di delizie anali, giaciglio di tremebonde fughe dal mondo, poltrona da regista per la sua-loro (del personaggio e dell’autore) vicenda umana.”

Pasquale Bellini – Gazzetta del Mezzogiorno

“Un lavoro ambizioso che riscrive la celebre e ultima opera dell’autore francese e il cui sottotitolo, Mòliere immaginaire, sta ad indicare una doppia chiave di lettura. Quella dell’identificazione tra Argante, il malato e lo stesso Mòliere – che alla quarta replica si accasciò in palcoscenico per poi morire – e quella di omaggio ad un altro grande, il maestro Nino Rota, che compose per Maurice Bèjart nel ’76 la partitura musicale per l’omonimo balletto.”

Nicola Viesti – Corriere del Mezzogiorno

“Non deve sorprendere se un Pulcinella, al solito svelto di parola ma anche incline alla malinconia, apre e chiude il Malato immaginario che Teresa Ludovico ha firmato per il Kismet Opera. La celebre maschera compare anzi anche nel corpo di una rappresentazione che è certo la messa in scena della celebre commedia ma anche della quarta replica del suo debutto, quella in cui Mòliere, nel ruolo del protagonista, si accasciò al suolo per poi morire dopo poche ore. Insomma, si respira aria di metateatro in questa versione che riesce a conciliare diverse suggestioni e diverse istanze culturali mettendo in risalto il debito verso la nostra Commedia dell’arte che l’autore francese confessò sempre.”

Nicola Viesti – Hystrio


Prima della visione: spunti

A) Molière: un nome immaginario

Jean-Baptiste Poquelin prese il nome di Molière quando passò alla professione teatrale. Fu attore, capo di una compagnia, e drammaturgo. È uno dei più importanti scrittori di teatro di tutti i tempi. Ha impersonato con la sua opera e la sua vita l’essenza stessa del teatro. Maestro negli intrecci e nella definizione dei caratteri, ha creato capolavori comicissimi, che però sanno anche mostrare gli aspetti malati o nevrotici dell’essere umano.

Opera letteraria e teatro pratico

Il Seicento, che è il secolo della nascita del professionismo teatrale in tutta Europa, è anche il secolo in cui operano forse i tre più grandi scrittori di teatro: Molière, Lope de Vega e William Shakespeare. Tutti e tre si formano nello stesso ambiente, il nuovo teatro di professione, e due di loro, Molière e Shakespeare, sono anche attori: la loro arte si sviluppa all’interno di una compagnia teatrale di cui sono collaboratori fissi.

In tutti e tre i casi non è possibile giudicarne l’opera letteraria senza tener conto del legame con il teatro pratico. A differenza di Shakespeare, Molière fu un attore celeberrimo non tanto apprezzato nel genere tragico, ma uno dei più grandi del suo tempo nel comico.

La vocazione teatrale e il nuovo nome

Figlio di un ricco commerciante, Jean-Baptiste Poquelin nasce a Parigi nel gennaio del 1622. Il nonno materno era un appassionato frequentatore di teatro, amante degli spettacoli di piazza e delle farse. Il giovane Jean-Baptiste riceve un’ottima preparazione scolastica, nel prestigioso collegio dei gesuiti di Clermont. Il 6 gennaio del 1643, dopo aspri contrasti col padre, rinuncia per iscritto, davanti al notaio, alla carica ereditaria di tappezziere del re e abbandona la casa paterna per dedicarsi al teatro. Da quel momento assumerà il nome di Molière.
Si unisce a una famiglia di attori, i fratelli Joseph, Geneviève e Madeleine Béjart, e fonda L’Illustre Théâtre. Dopo un paio di anni di fallimenti a Parigi (Molière va anche in prigione per debiti), la loro diventa una compagnia nomade, che sopravvive portando i propri spettacoli nelle città e nei villaggi della provincia francese. Madeleine è l’attrice principale della compagnia e Molière, più giovane di lei, è il suo amante.

Recitano sia tragedie sia farse. Molière scrive i primi testi teatrali, brevi farse in un atto, poi commedie comiche, pensate specificamente per gli attori della compagnia. Nel film Molière, del 1978, la regista francese Ariane Mnouchkine ha voluto sottolineare, gli aspetti del grande drammaturgo legati soprattutto all’avventura teatrale e alla vita di compagnia come mondo a parte, alternativo.

Nel 1658, Molière e i suoi attori tornano a Parigi. Condividono, a giorni alterni, la vasta sala dell’Hôtel du Petit Bourbon con la compagnia di Commedia dell’Arte italiana che vive stabilmente a Parigi, capitanata dal grande Scaramouche (Tiberio Fiorilli). Gli avversari di Molière diranno che ha avuto lezioni d’arte da Scaramouche (esiste una incisione satirica che mostra i due attori uno di fronte all’altro, mentre ripetono gli stessi gesti). Volevano insinuare che quella di Molière fosse una comicità di basso livello, fatta solo di scherzi e gag, simile a quella propria della commedia dell’arte.

Gli anni del successo

Nel 1660, Molière e i suoi attori si spostano nella sala del Palais Royal, dove troveranno stabile dimora. È il momento del massimo favore del re, Luigi XIV, che, giovane e impegnato a stabilire la propria supremazia sulla nobiltà e sul clero, difende l’umorismo e l’acre satira di Molière dagli attacchi dei tradizionalisti e dei moralisti. In questo periodo Molière scrive alcune tra le sue commedie più famose: Le preziose ridicole, La scuola delle mogli, Il misantropo, Georges Dandin. Molière è uno straordinario creatore di intrecci e di caratteri, le sue battute diventano proverbi, le sue trovate sono saccheggiate dagli imitatori. La perfezione delle trame, la vitalità dei personaggi, l’intelligenza della sua satira, faranno di lui, nella letteratura europea, l’incarnazione del genere della commedia. Ma le sue commedie, anche le più buffe e spassose, sono quasi sempre intinte di un umore nero che gli permette di mettere a fuoco l’aspetto malato o i veleni più nascosti dell’essere umano, pur essendo cariche, al tempo stesso di una vitalità inarrestabile, di una comicità tanto intensa da essere accusata di grossolanità.
Fra gli attori più celebri della compagnia, bisogna ricordare, oltre a Madeleine Béjart e alla sua giovane sorella, Armande, anche Michel Baron, che molti anni dopo sarà il più grande attore tragico francese del suo tempo.

La capacità di Molière di prendere in giro abitudini e mode persino dell’alta nobiltà gli attira odi sempre più violenti e potenti. Nelle sue commedie critica l’intera piramide sociale, lasciando fuori solo la punta, il re e il suo operato, come se il sovrano fosse un fenomeno paragonabile a quelli della natura, non soggetto a critiche.

Nel 1662 Molière sposa Armande, di vent’anni più giovane. Cominciano a circolare contro di lui opere satiriche sempre più violente, che attaccano la sua arte, le sue commedie e la sua vita. Si insinua che coltivi un amore omosessuale con il giovane Baron, che la moglie lo tradisca, che non sia la sorella, ma la figlia della sua ex amante Madeleine, e quindi forse anche figlia di Molière. Nel 1664, mostra a Luigi XIV il suo Tartufo, in una versione più corta della definitiva, ma già scandalosa.

Il malato immaginario

Molière, scrive Macchia, è uno scienziato delle nevrosi, è un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, a base di purghe e corna, l’ombra di un autoritratto, un gioco, dice Macchia, tra assenza e presenza.

Nel 1673 il drammaturgo scrive Il malato immaginario, un altro attacco contro i medici. Il suo odio per i medici è tanto noto che ne fa una battuta dentro la sua commedia e Argante, il malato immaginario, si scaglia contro Molière; «se fossi medico» dice, «quando sarà in punto di morte, lo lascerei senza aiuto. Crepa, gli direi, crepa!».

Il 17 febbraio del 1673, mentre sta recitando Il malato immaginario (sosteneva la parte di Argan), Molière si sente male. Secondo la versione più accreditata riesce a portare a termine la serata e a rincasare, aiutato da Baron. Secondo altre versioni, la commedia deve essere sospesa e lui portato di corsa a casa dai suoi attori. Muore quella stessa notte. In quanto attore che non ha rinunciato alla sua arte gli viene negata la sepoltura religiosa, come avveniva a quel tempo. Soltanto per le pressanti richieste della moglie può essere seppellito in un cimitero, ma senza cerimonie in chiesa.

(fonte: Treccani.it)


B. Certi tipi di immaginazione e certi tipi di malati

“Quando si tratta di malattie, non direi mai di essere un ipocondriaco. Semmai sono un allarmista. Non è che mi senta malato di continuo, ma quando mi ammalo penso subito che sia la volta buona.” – Woody Allen


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è a disposizione di quanti vogliano stabilire un contatto diretto 
con lo Sportello didattico dei Teatri di Bari, per confrontare 
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