“Alì dagli occhi azzurri / uno dei tanti figli di figli, / scenderà da Algeri, su navi/ a vela e a remi. Saranno/ con lui migliaia di uomini/ coi corpicini e con gli occhi/ di poveri cani dei padri/ sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, / e il pane e il formaggio … “.
All’inizio degli anni Sessanta, prendendo spunto da un racconto di J ean-Paul Sartre ambientato nel tempo e nei luoghi della guerra d’Algeria, Pier Paolo Pasolini scrive, alternando prosa e versi liberi, un racconto che non poteva chiamare diversamente: Profezia. Rimarrà l’unico suo testo ad avere questo titolo. Lui non ha avuto il tempo per vedere quanto presto si sia realizzata.
Allora, abbiamo il desiderio di informarlo noi, di dirgli come stanno andando le cose, quasi gli stessimo scrivendo una lettera fatta di parole, canto e musica per, se così possiamo dire, aggiornarlo. E anche per chiedergli se ha davvero pensato che sia esistito, che mai potrà esistere, un Alì dagli occhi azzurri, mite figura, favolosa come un alieno. Se ci sia mai stato, forse, qualcuno con questo nome, questo destino e questo sogno.
Volendo ricercare le tracce di Alì si può risalire fino ad Adamo, il primo di noi a mettersi in viaggio, come se altro non ci fosse consentito di fare.
E certamente, Pier Paolo, quando vedevi Alì, pensavi anche a Cristo, che se ne va di casa prendendo la bisaccia e i sandali del padre.
E quanti altri Alì ai quali non saremo mai capaci di dare un nome e un volto, colmi di rabbia e di tardive dolcezze, hai immaginato e conosciuto? Da uomo libero e sconfitto, come sei stato tu, un viandante. E un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno.
Non hai potuto conoscere i tanti Alì venuti a trovarci dopo. A milioni, “per insegnare come si è fratelli”, tu speravi. Non è andata così per i tanti Alì dagli occhi per sempre chiusi, precipitati nel fondo del nostro mare, invocando un Dio, loro e nostro. Questo, la tua Profezia non l’aveva previsto.
Una cantata scenica, sacra, profana e piena di speranza, che vive attraverso parola, musica, immagini e gesti. Perché tu stesso, pochi anni dopo avere scritto Profezia, hai svelato chi fosse il tuo Alì, ancora una volta con/fondendo, cme ti era naturale, il mito e la storia, l’antico e il contemporaneo, nella palpitazione della parola:
“I Persiani, dice, si ammassano alle frontiere. / Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati,/ sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409, dei tramvetti / della Stefer. Che bei Persiani! / Dio li ha appena sbozzati, in gioventù,/ come i musulmani e gli indù: / hanno i lineamenti corti degli animali, / gli zigomi duri, i nasetti schiacciati all’insù,/ le ciglia lunghe lunghe, i capelli riccetti. /
Il loro capo si chiama: / Alì dagli Occhi Azzurri”.
Pacificamente. Un avverbio che oggi ci appare osceno, fuori scena, invisibile, impossibile perfino da pronunciare. Reale come la più irrealizzabile delle utopie, che nulla come la musica e il canto riescono ad evocare.
Forse eri tu, Alì. Con i suoi “occhi senza paura”, con la “grazia del sapere”, come un vento che semina.