Uno spiazzo da contendersi per giocare. Due squadre/gruppi di ragazzini. Un pallone, un orgoglio da difendere.Questi gli elementi alla base del romanzo diventato uno dei più noti classici della letteratura per l’infanzia, pubblicato nel 1906 da Molnàr per denunciare la mancanza di spazi per il gioco dei più giovani. Una denuncia, il segnale di un pericolo che arriva da lontano e che ancora suona contemporaneo e familiare. Certo il gioco in strada è diventato più raro, soffocato dal traffico e da madri sempre più ansiose e protettive. Certo i ragazzi oggi giocano e comunicano digitalmente, virtualmente… ma a tutti noi adulti è capitato di vedere talvolta lo sguardo illuminato, le guance arrossate di un bambino che gioca davvero con coetanei veri, di cogliere la realtà delle emozioni in quello sguardo e in quel respiro affannato. Vera gioia, vera rabbia, vero tutto. Senza dimenticare il presente e le sue eccezionali opportunità, lo spettacolo vuol parlare di una città e dei suoi ragazzi, i piccoli cittadini che vivono all’ombra dei bisogni dei grandi che disegnano spazi a loro uso e consumo. Boka, Gerèb, Nemé, Skiappa, i piccoli ungheresi, da 109 anni raccontano la loro storia con allegria, drammaticità e passione immutate. Ambientato in una periferia qualsiasi delle nostre città, lo spettacolo si serve di musiche originali rap-reggae di Fido Guido e di videoinstallazioni.
Note di regia
Storie di spazi occupati e spazi usurpati. Sottratti a una naturale funzione in nome di un aleatorio interesse collettivo, sempre calato dall’alto da entità sfuggenti, e mai realizzato. In una architettura della precarietà, in cui solo i sogni sono chiari, una piccola comunità bambina, che percepisce attorno a sé la presenza adulta come un’ombra, ma non la vede, costruisce relazioni, dentro e con quello spazio in perenne costruzione, in cui sembra che nessuno voglia costruire nulla. Il cantiere, mai finito, si tinge per un attimo di infinito. E i ragazzi si riconoscono in quello spazio inquieto e ostinato che non vuole diventare niente altro che ciò che è; con profondo senso etico lo difendono, attraversano la propria guerra, piangono i propri caduti, per poi svegliarsi cresciuti e con la consapevolezza nuova che i nemici di ieri erano necessari alla propria identità e che le ombre intorno permangono a perpetrare una nuova usurpazione.
Per giocare dove non c’è null’altro che la propria presenza e un luogo invaso da dissennate barriere, il PARKOUR si sviluppa nella periferia metropolitana come modalità di relazione con lo spazio, con gli ostacoli, che diventano veri e propri maestri. Se ascoltati indicano i limiti personali e la possibilità di spostarli gradualmente, assumendosi la responsabilità di ogni piccolo o grande rischio, fino piegare al gioco persino le leggi della fisica, nella realizzazione delle evoluzioni più estreme. Così, per gioco, ciò che prima sembrava squallore e impedimento, nella relazione diventa meraviglia, e l’asperità, conosciuta, rende il luogo unico e desiderabile, scenario di un’appartenenza. Nella condivisione poi, scopri che non sei solo, hai dei fratelli che, in quell’apparente nulla, saltano e giocano sullo stesso corpo di città.
Di: Gaetano Colella e Gabriele Duma
Regia: Gabriele Duma
Con: Giuseppe Marzio, Andrea Santoro, Andrea Simonetti, Serena Tondo
Scene/immagini: Massimo Staich e Francesca Ruggiero
Costumi: Cristina Bari
Musiche originali: Fido Guido
Videomaker: Gianni Giacovelli
Parkour trainer: Daniele Ciciriello
Disegno luci e tecnico di scena: Vito Marra
Età consigliata: dagli 8 ai 14 anni
Tecnica: teatro d’attore, immagini proiettate
Collettivo di Ricerche Espressive e Sperimentazione Teatrale Il Crest nasce a Taranto nel 1977 e, con Gianni Solazzo e Mauro Maggioni prima e Gaetano Colella poi, porta avanti in un ambiente difficile – sia socialmente che culturalmente – un discorso teatrale coerente e innovativo, raccontando vite complicate, sogni ostinati, incontri tra culture e condizioni differenti, cercando di coniugare i linguaggi della tradizione con quelli della ricerca teatrale contemporanea. Inserito dal 1992 dalla presidenza del Consiglio dei Ministri nell’elenco delle “… compagnie che svolgono ad alto e qualificato livello attività nel campo del teatro per l’infanzia e la gioventù”, il Crest ha scelto quali interlocutori privilegiati i bambini, i ragazzi e i giovani, con l’intento di creare un punto di riferimento culturale e professionale forte. L’obiettivo, da sempre, è stato anche quello di superare le barriere tra i pubblici: le sue produzioni sono presentate in programmazioni serali e rassegne per le scuole, in cartelloni di ricerca e stagioni di prosa, oltre che in festival di settore. Da segnalare che è stato finalista per il Premio ETI-Stregagatto con gli spettacoli “La neve era bianca” nel 1999, “La mattanza” nel 2000, “Cane nero” nel 2001 ed ha prodotto lo spettacolo vincitore del Premio Scenario 2005, “Il deficiente”. Dopo 30 anni di attività “senza fissa dimora”, dal 23 gennaio 2009 il Crest dispone di 1000 metri quadrati di “teatro da abitare”, il TaTÀ, nel quartiere popolare ed operaio per eccellenza della città, il rione Tamburi appunto, il più contiguo alle svettanti ciminiere Ilva. Un teatro che mira a diventare polo di attrazione di artisti italiani e stranieri, diventando modello di mediazione tra il teatro e le altre forme di comunicazione/creazione quali la scrittura, la pittura, il video, la danza, la musica. Un teatro sempre aperto, che alla produzione di spettacoli e all’ospitalità di altre compagnie teatrali, unisce proposte di formazione, incontri e laboratori per le scuole, percorsi di ricerca drammaturgica, attività, comunque, volte al dialogo e al confronto con il territorio, attraverso la promozione e la cura di eventi teatrali di particolare interesse (stagioni di prosa, festival, rassegne).
[…] Gaetano Colella in collaborazione con Gabriele Duma che firma la regia immette il famoso capolavoro di Ferenc Molnar del 1906, attraverso un bellissimo video che fa’ da contrappunto alle vicende teatrali, direttamente nella realtà giovanile di Taranto, continuando a narrare della propria città, dopo l’ottimo risultato di “ Capatosta”. Come si ricorda al centro del libro di Molnar vi era uno spiazzo conteso da due diverse squadre di ragazzini, la Società dello Stucco e le Camicie Rosse. Lo spettacolo vuol parlare dunque di una città ben precisa e dei suoi ragazzi, “i piccoli cittadini che vivono all’ombra dei bisogni dei grandi che disegnano spazi a loro uso e consumo.”
Mario Bianchi – Eolo.it
I ragazzi della via Pàl traditi dal Novecento
GIANPAOLO VISETTI
La Repubblica 13 maggio 2007
Siamo a Budapest. Boka è il capo della “banda”, che comprende Csele, Nemecsek, Csonakos, Weisz, Gereb e Kolnay: sono i “ragazzi della via Pal”. Nel quartiere c’è un terreno su cui sorge una segheria a vapore, pieno di cataste di legna e sentieri che formano un vero labirinto. Al centro del terreno c’è una casupola, la segheria. I ragazzi hanno adibito questo terreno a quartier generale cioè un parco giochi, in cui si fingono componenti di un esercito. L’unico soldato semplice sottomesso a tutti, è il piccolo Nemecsek, un ragazzo piccolo, biondo, esile e molto ubbidiente, con una grande ammirazione nei confronti del “generale” Boka, che lo spinge a svolgere sempre alla perfezione i compiti a lui assegnati, nella speranza di essere “promosso” di grado. Un giorno il piccolo Nemecsek vede il capo di una banda rivale, Franco Ats, aggirarsi per il loro campo, e rubare la loro bandiera. Franco Ats è il “terrore” di quasi tutti i ragazzi di via Paal, ed è il capo della banda dei giardini botanici. È un ragazzo robusto, con spalle larghe, capelli castani e con un aspetto da “garibaldino”. Il furto della bandiera è per i ragazzi un grave affronto a cui devono assolutamente reagire. Boka decide di recarsi fino al quartier generale della banda nemica per appendere un cartello come segno della loro visita. Così una sera, con Nemecsek e Csonakos, si reca ai giardini botanici e con una barchetta a remi raggiunge l’isola. Qui però ha la brutta sorpresa di scoprire un traditore, Gereb, che forse per gelosia fa il doppio gioco. Boka ne rimane molto scosso, ma lui e gli altri riescono comunque a portare a termine la “missione”, facendosi però scoprire dai nemici. Boka sente Gereb complottare con Franco Ats un piano per entrare nel loro rifugio e conquistarlo, ma di ciò non dice niente agli altri membri della banda. Nemecsek nei giorni seguenti torna da solo al giardino botanico per rubare la bandiera nemica, ma purtroppo viene scoperto e gettato in acqua mentre tutti, anche Gereb, lo deridono. In seguito Nemecsek e Boka progettano un piano di difesa del loro campo, e Gereb viene cacciato in quanto traditore. Purtroppo Nemecsek si ammala e non potrebbe partecipare alla battaglia, ma sfidando la febbre si reca comunque sul luogo del combattimento, dove viene malmenato da Franco Ats. Questo fatto infonde nuova forza ai suoi compagni, che riescono a mettere in fuga i nemici. Nemecsek per l’impresa eroica viene nominato capitano. Purtroppo dopo poco tempo Nemecsek muore. Tutti i ragazzi si recano a casa sua vestiti di nero, anche il nemico Franco Ats, per piangere il loro piccolo eroe.
Budapest cento anni dopo
I ragazzi della via Pàl compiono cento anni. L’Ungheria e l’Europa, che sono cresciuti con loro, li hanno traditi. Per questo, oggi, li celebrano […] Le strade di Budapest, nell’anno delle celebrazioni, testimoniano il paradosso di questa discreta nostalgia per l’incompiuta generosità dell’infanzia. Nelle librerie si accumulano i puntuali seguiti di Harry Potter. Lungo i viali dei parchi pubblici, gli adolescenti non gridano e non si rincorrono. Immobili e soli, sulle panchine, pigiano telefoni, videogame e mp3. Nell’ ottavo e nel nono distretto, come dovunque, i cortili sono diventati parcheggi e sulle praterie sono cresciuti palazzi. La casa natale di Molnar, all’83 di Ferencz Korùt, è un edificio trascurato. Il pianterreno è occupato da un negozio di macchinari da palestra. Nell’appartamento dove è nato lo scrittore, nel 1878, abita la famiglia Pàsztor, omonima dei prepotenti fratelli del suo romanzo. La vicina caserma Kilian, primo teatro della rivolta anti-comunista del 1956, esibisce una facciata sporca di vetri rotti. All’ incrocio tra via Pàl e via Mària, dove si apriva «il dolce Grund», uno stabile annerito conferma il valore storico di un’opera equivocata in «romanzo per l’infanzia». Una targa in italiano, affissa nel 1990 dal Gr3, recita: «A Ferenc Molnar, ai suoi ragazzi ed ai ragazzi di tutte le periferie». È una medaglia alla memoria: cancellato il campo della via Pàl, questa periferia è scivolata a ridosso del centro. Nessun bambino, qui come nelle nostre città, potrebbe più trascorrere i pomeriggi vagando libero fra terreni vuoti e boschi sotto casa. Via Ràkos, dove abitava Nemecsek, non esiste più. Il grande Orto botanico, in Illes Utca, è stato ridotto a un giardino nascosto tra due cliniche. Resistono le pericolanti serre liberty stipate di palme, qualche “ginko” secolare. Il lago e gli stagni sono stati prosciugati, assorbita l’isola. Il municipio voleva tagliare i costi e chiudere: prima delle elezioni è stato fermato dalle proteste del quartiere. La mappa della storia, grazie alla metropolitana, è rapidamente percorribile. Il suo mondo però è scomparso: dietro i mutamenti urbanistici emerge l’estinzione di un’epoca sociale, di una cultura, di una civiltà demolite con maniacale accuratezza. Gli ungheresi, sui giornali, dopo un secolo si domandano se sono stati all’altezza di Boka, o del capo delle Camicie Rosse, Feri Ats. I telespettatori hanno spinto I ragazzi della via Pàl al secondo posto del concorso che ha eletto Le stelle di Eger miglior romanzo di tutti i tempi. La lettura, nelle scuole, è obbligatoria. Tradotta in trentacinque lingue, l’opera ha venduto cinque milioni di copie solo in patria e ora viaggia a quota diecimila all’ anno […]
La casella di posta elettronica info@casadellospettatore.it è a disposizione di quanti vogliano stabilire un contatto diretto con lo Sportello didattico dei Teatri di Bari, per confrontare esperienze, spunti e modalità di impiego delle schede