Lo spettacolo di e con Anna Piscopo è un flusso di coscienza in cui più personaggi s’intrecciano nel corpo e nella voce di una sola performer per raccontare la storia di una giovane donna che vorrebbe sbarazzarsi del ruolo da emarginata che vive nel mondo provinciale, gretto e bigotto in cui è nata.
Per conquistare l’agognata promozione sociale cancellando un profondo senso di inadeguatezza, parte per Roma alla ricerca di un lavoro o di un uomo che possa sistemarla. Perché questo le hanno insegnato, si riesce grazie all’uomo, per cui nutrire soggezione, usando il corpo come merce di scambio. C’è anche il lavoro, ma quello della fisicità, della fatica. Altro non esiste.
E’ l’inizio di un vagare confuso, istintivo, senza punti di riferimento. Lei sente, soffre, si ribella. Ma le radici tribali sono troppo interiorizzate. Ed è la preda ideale per un gioco al massacro dove finirà travolta, e divorata, dalla brutalità di una società spietata.
Tornerà indietro, nel suo paesino, tra le grinfie di una madre che la obbliga a mangiare, a nutrire sempre e solo il corpo, voracemente. Senza nulla di veramente suo.
I condizionamenti famigliari, quelli culturali e l’esperienza diretta della crisi economica del suo paese, la gonfiano di rabbia, aspettative disattese e ansie, tanto da non riuscire mai veramente a respirare, a vivere la sua vita da protagonista.
Per liberarsi dalle voci che la infestano, dalla solitudine e dall’emarginazione, dovrà letteralmente divorare la sua famiglia – pietanza indigesta – ingurgitata nella furia della bulimia e del bisogno incontrollato di affetti, figure di riferimento e approvazione.
“MANGIA!” usa il cibo come metafora di violenza e sfruttamento nella famiglia e nella società.