Dal 9 all’11 novembre alle ore 20.30 va in scena IL TEATRINO DELLE MERAVIGLIE, primo studio aperto al pubblico del laboratorio in corso all’Istituto penitenziario minorile ‘N. Fornelli’ di Bari (via Giulio Petroni, 90), nell’ambito del progetto di spazio teatrale ‘Sala Prove’.
Lo studio, con la drammaturgia e regia di Lello Tedeschi, nasce tra le mura di istituto penale. E dunque, in questo gioco divertito tra verità e finzione che propone, queste pareti inevitabilmente risuonano. Inutile far finta di niente: in scena ci sono detenuti e non, e gli spettatori entrano in un carcere per assistere a uno spettacolo. Il destino provvisorio che qui tocca tutti, attori e spettatori, è stare insieme, per il tempo di uno spettacolo, dove e con chi difficilmente si immaginava di poter essere. Per ritrovarsi infine in un teatro necessari gli uni agli altri. Per dirla con Flaiano: a cercare nel buio qualcosa che non c’è, e trovarlo.
Lo spettacolo è a ingresso gratuito, con posti limitati: obbligatoria la prenotazione inviando via mail una copia del documento di identità a botteghino@teatrokismet.it entro e non oltre mercoledì 2 novembre. Arriverà conferma della prenotazione.
Per info: 335.805.22.11
SCHEDA ARTISTICA
Ministero della Giustizia – Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità
Istituto Penale per i Minorenni “Fornelli” – Bari
Teatri di Bari/Teatro Kismet
SALA PROVE
teatro dell’Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli” – Bari
mercoledì 9, giovedì 10, venerdì 11 novembre ore 20.30
IL TEATRINO DELLE MERAVIGLIE
primo studio
in scena Paolo William, Debora Rutigliano e Antonio Mansi drammaturgia e regia Lello Tedeschi assistenza Carmela Antonelli
In fondo il teatro è sempre un travestimento necessario: attori o spettatori che siamo, partecipandovi incarniamo un ruolo, un destino provvisorio che abbandoniamo solo al momento degli applausi. Nel corso di uno spettacolo gli uni non esistono senza gli altri, si è reciprocamente necessari, si esiste come tali solo quando si è insieme, si è attori solo quando ci sono spettatori, e viceversa. Si è tutti in scena, inevitabilmente.
A chi tocca? agli attori? agli spettatori? cominciano loro o cominciamo noi?, si chiedono retoricamente i nostri personaggi quando lo spettacolo comincia. Personaggi che sono attori ma anche spettatori di se stessi, su una scena che di teatro ne contiene un altro, un palchetto che è una sorta di altare su cui giocare a fingere, a fare gli attori per poter dire così qualcosa di sé, esprimere verità, pure scomode, che senza questo travestimento non sarebbero in grado di dire, e forse non sarebbero nemmeno ascoltate. Restano nell’attesa, vana, che prima o poi tocchi agli spettatori veri, citando in soccorso pure Shakespeare, “…noi, loro, tutto il mondo è teatro, la vita è un palcoscenico, tutti abbiamo le nostre entrate e le nostre uscite…”. Ma tant’è, il teatro ha le sue convenzioni, e ciascuno resta al suo posto, gli attori da una parte, gli spettatori dall’altra. E alla fine, dopo i saluti, ognuno riprende il proprio destino. Che forse però, anche se impercettibilmente, non è proprio lo stesso con cui si è entrati in sala, attori o spettatori che siamo.
Questo studio nasce tra le mura di istituto penale. E dunque, in questo gioco divertito tra verità e finzione che propone, queste pareti inevitabilmente risuonano. Inutile far finta di niente: in scena ci sono detenuti e non, e gli spettatori entrano in un carcere per assistere a uno spettacolo. Il destino provvisorio che qui tocca tutti, attori e spettatori, è stare insieme, per il tempo di uno spettacolo, dove e con chi difficilmente si immaginava di poter essere. Per ritrovarsi infine in un teatro necessari gli uni agli altri. Per dirla con Flaiano: a cercare nel buio qualcosa che non c’è, e trovarlo.
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